50 anni fa la morte di Tenco. E quello scatto del mandellese Casari

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Ecco l’ultima foto scattata a Luigi Tenco da Renato Casari nel gennaio 1967 a Sanremo.

SANREMO / MANDELLO – Sono passati cinquant’anni da quella notte tra il 26 e il 27 gennaio 1967, la notte in cui a Sanremo morì Luigi Tenco. Poche ore prima era arrivata la notizia che il brano del cantautore di origini piemontesi era stato escluso dalla finale del Festival.

Furono due discografici a svegliare il cantante per comunicargli l’esclusione. Gli dissero  che avrebbero sollevato un polverone, ma lui iniziò a gridare e a imprecare. Poco dopo Dalida – che sul palco del Festival aveva eseguito in coppia con lui Ciao amore, ciao – andò da Tenco e, insieme, i due andarono a discutere in un sottoscala adibito a deposito di bottiglie.

Lì li raggiunse un giovane fotografo, Renato Casari, inviato della Domenica del Corriere. Gli scattò alcune foto, riuscendo persino a far sorridere Tenco.

La memoria del cantautore rivive ogni anno, nei giorni di Sanremo. Tanto più in questi giorni di fine gennaio 2017, appunto in concomitanza con il cinquantesimo anniversario della sua morte. E ogni volta il pensiero va anche a Casari, il fotografo e giornalista di origini emiliane che per oltre 50 anni ha vissuto tra Milano e Mandello.

Fu lui, come detto, a fotografare Tenco per l’ultima volta, prima del tragico epilogo di quella sera di fine gennaio del ’67, quando in una stanza dell’hotel Savoy il cantautore decise di porre fine ai suoi giorni con un colpo di pistola alla tempia.

Renato Casari, scomparso nel 2010.

Casari, scomparso nel 2010, era andato a quel Festival come corrispondente dell’agenzia milanese Publifoto e, come detto, per conto della Domenica del Corriere. Aveva scattato molte immagini poi, una volta spente nel salone delle feste del Casinò le luci della ribalta, aveva intervistato (e appunto fotografato) vari cantanti, raccogliendo gioie e delusioni di vincitori e sconfitti. Tra questi ultimi vi era Luigi Tenco.

“La notizia della sua eliminazione – ci raccontò anni fa Casari – cadde come fulmine a ciel sereno su noi giornalisti e fotografi, ma Tenco era introvabile. Soltanto verso mezzanotte un cameriere mi disse che il cantante si era rifugiato in un ripostiglio sotterraneo del Casinò”.

“Lì  in effetti Tenco stava discutendo con Dalida – aggiunse il fotografo – e si interrogava sui motivi della clamorosa bocciatura. Lo raggiunsi scendendo per una scala a chiocciola. Dopo aver letto il mio tesserino di riconoscimento appeso alla giacca, Tenco mi pregò di portare i suoi saluti a Vittorio Franchini, all’epoca vicedirettore della Domenica del Corriere. “Lo ringrazi – mi disse – per quello che ha scritto. Mi ha dato fiducia e gliene sono grato”. Scattai alcune foto che per almeno 25 anni sono rimaste dapprima negli archivi della Publifoto e successivamente in quelli di un’altra agenzia milanese. All’inizio degli anni Novanta sono poi finite nella redazione di un quotidiano milanese, peraltro introvabili. Così di Tenco mi è rimasta soltanto una foto…”.

Ce la mostrò, Casari. E noi la riproducemmo. Una sola foto, uno scatto che ritraeva Tenco sorridente. Un “flash” che strideva con le immagini di morte che neppure due ore dopo la Polizia di Sanremo avrebbe scattato in quella stanza, la 219, del Savoy.

“Feci quella foto – ci ricordò sempre Renato Casari – poco prima di lasciare il locale dove si era “rifugiato” Tenco e dopo averlo sollecitato a non essere troppo serio né eccessivamente amareggiato per quella inattesa bocciatura. “E’ soltanto un Festival e allora Evviva Sanremo”, gli dissi. Lui mi sorrise, mi guardò e pronunciò la mia stessa frase. “Evviva Sanremo”, mi ripetè. Io scattai, salutai e mi congedai da lui”.

Dopo aver lasciato il Casinò, Casari tornò al suo albergo. Un paio d’ore più tardi un collega lo svegliò per dirgli che Luigi Tenco era morto suicida.

“Andammo immediatamente al Savoy – ci spiegò il fotografo – e là trovammo una grande ressa. A noi fotografi fu impedito di raggiungere la stanza di Tenco. Vidi però i necrofori salire al piano superiore dell’albergo. Alle 5 del mattino me ne andai e a quell’ora la bara non era ancora scesa”.

Da quella notte sono passati cinquant’anni. E il mistero resta.