Alluvioni e frane nel lecchese: la parola al geologo

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allagamenti Lecco - 18 agosto 2014 (15)

LECCO – “Riguardo alle frane molto è stato fatto nel lecchese, non si può dire la stessa cosa per fronteggiare le alluvioni”. A parlare è il geologo Roberto Carpi, per 35 anni consulente di società petrolifere tra cui Eni ed Edison ed ora in pensione, residente ad Abbadia, appassionato di montagna e della geologia lecchese, “una delle più complesse ed interessanti” in Italia, come definita dallo stesso esperto.

La primavera passata e l’estate che sta per concludersi non hanno sorpreso il geologo, almeno dal punto di vista dei disastri che sono accaduti in città e provincia, tra smottamenti ed esondazioni di fiumi e torrenti, avvenuti a seguito delle forti precipitazioni che hanno contraddistinto gli ultimi mesi in provincia.

Il geologo Roberto Carpi
Il geologo Roberto Carpi

“I pericoli più grandi per il territorio lecchese sono proprio le frane e le alluvioni, al contrario dei rischi sismici che da noi sono praticamente nulli – spiega Carpi – In provincia sono stati cartografati circa 7,2 mila fronti franosi sul foglio geologico, alcuni di questi sono antichi un migliaio di anni e risultano stabili, altri invece si muovono ancora”.

E’ il caso del San Martino dove nell’aprile scorso una frana scesa a pochi passi dalla Statale 36, obbligando alla chiusura preventiva del tratto tra Abbadia e Lecco:

“Si è trattato del crollo di una scarpata rocciosa, che nella casistica rappresenta il 40% degli episodi franosi (il 60% delle volte è dovuto invece al distacco e allo scivolamento di sedimenti recenti) – sottolinea il geologo – Sul San Martino è presente una grossa conoide, larga circa un chilometro quadrato e antica circa 10 mila anni, dove si vanno ad adagiare le rocce. I crolli avvengono con cadenza decennale ma, visti i cambiamenti climatici, potrebbero diventare più frequenti”.

Dicerie popolari indicavano nel San Martino la tomba di Lecco: “Non ci si aspetta un nuovo Vajont perché sul monte lecchese, al contrario del monte Toc, non vi presenza di argille che possano fare da innesco, ma solo rocce calcaree e dolomitiche. E’ difficile che avvengano frane di vaste dimensioni”.

Carpi ricorda anche una curiosità storica su quello che è stato denominato il Monte Marcio: un episodio simile a quanto avvenuto lo scorso aprile successo però nel ‘600, quando una frana fermò i lanzichenecchi ad Abbadia impedendo il loro passaggio verso Lecco. Allora non c’era la Statale 36 e nemmeno l’ANAS.

Ben più tragico, invece, il ricordo di quel 23 febbraio del 1969, quando a causa di uno smottamento sul San Martino persero la vita 7 persone. La più grave delle frane che si sono verificate nel lecchese è stata però quella di Primaluna, nel 1762, che fece un centinaio di vittime.

“Sul fronte della prevenzione delle frane si opera sempre a seguito dell’evento e negli anni tanto è stato fatto sulle montagne lecchesi, con reti e valli paramassi. Siamo invece più impreparati riguardo alle alluvioni e basterebbe monitorare i fiumi e pulire i loro letti da rami e detriti, permettendo quindi il deflusso dell’acqua”.

Lo sanno bene i cittadini di Maggianico che lo scorso 13 agosto si sono trovati sott’acqua a causa dello straripamento del torrente Tuf mentre il rione veniva colpito da un forte temporale; altri episodi di allagamento sono sono verificati anche nell’hinterland della città e nella Brianza lecchese.

Frana san martino centrale guzzi 23 aprile 2014 (46)“A Maggianico, così come  nei paesi di Civate, Malgrate, Valmadrera, occorre intervenire di più per prevenire questi fenomeni. Al contrario si è fatto tanto in Valsassina, territorio soggetto ad un rischio maggiore per presenza del Pioverna e per la conformazione montuosa del territorio”.

Maggianico è risultato essere il rione più colpito dal maltempo di questa estate, con il devastante passaggio di una tromba d’aria e dei vari nubifragi che qui hanno fatto i danni maggiori:

“Molto dipende dalla presenza della falesia del Magnodeno – spiega il geologo – che spinge in quota i venti provenienti da ovest, provocando le cosiddette bombe d’acqua e la formazione di grandine come quella caduta la sera del 10 agosto scorso”.