Volontari in Africa. Parlano due lecchesi: “La paura non ferma la partenza”

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Laura Mariani di Galbiate
Laura Mariani di Galbiate, infermiera all’ospedale di Kiirua in Kenya

 

LECCO – La cronaca nazionale ha raccontato del rapimento di Silvia Romano, la giovane cooperante, catturata lo scorso lunedì sera, nel sud del Kenya a Chakama, da un gruppo armato. Una vicenda che sta creando grande apprensione per le sorti della ragazza e anche dibattito nell’opinione pubblica su questi giovani impegnati lontani da casa, in terre pericolose e altrettanto bisognose di aiuti umanitari. “Chi glielo ha fatto fare!” c’è chi ha commentato così la notizia, eppure sono tanti i ragazzi che partono ogni anno in missione nel continente africano e in altre zone del Terzo Mondo. 

Cosa spinge questi giovani a partire alla volta del volontariato internazionale? Abbiamo raccolto le testimonianze dei due ragazzi lecchesi da anni impegnati in terra africana. Laura Mariani, è cresciuta a Galbiate, il primo viaggio in Kenya l’ha vissuto nel 2011, un amore profondo per quella terra che l’ha richiamata a sé un anno più tardi e dove oggi svolge il proprio lavoro d’infermiera presso l’ospedale di Kiirua, a sei ore circa dalla capitale.  Jacopo Bianchi, è architetto, vive a Oggiono, durante le vacanze estive torna nella sua “seconda casa” come ama definirla, nella periferia di Kinshasa in Repubblica Democratica del Congo portando avanti la costruzione di una scuola materna.

Jacopo Bianchi, fra i bimbi del villaggio in Congo

 

Quando siete partiti la prima volta?

Laura: La mia prima volta in Kenya è stata nel 2011, avevo 23 anni allora, sono restata per tutto il mese di agosto con l’Associazione Amici di San Francesco di Osnago, aiutavamo nel villaggio che ospita bambini di strada, a mantenere le strutture. Ai tempi pitturavamo, avevamo inaugurato l’aula d’informatica, c’erano dei tavoli da costruire…

Jacopo: Siamo partiti la prima volta nell’estate 2016, io ed altri 4 ragazzi con il supporto dell’Associazione Gocce d’Acqua per il Congo ed il suo presidente don Alphonse Lukoki. Lo avevamo conosciuto qualche mese prima a Genova,  in occasione di un convegno sul volontariato in Africa, ci ha parlato del progetto di una scuola materna da realizzare in provincia di Kinshasa, un luogo abbastanza povero, era il suo sogno e gli serviva aiuto per realizzarlo. Siamo partiti con lui, con la voglia di fare del bene e di continuare ciò che avevo già intrapreso in Kenya nei due anni precedenti: aiutare i bambini in difficoltà dando loro delle strutture adeguate alla crescita e in cui poter studiare. Abbiamo supportato l’impresa edile come muratori e donando dei soldi per iniziare il progetto gettando le fondazioni, nel 2017 sono stati conclusi i muri perimetrali e quest’anno il solaio d’interpiano.

Cosa spinge un giovane a questo tipo di volontariato?

Laura: Il motivo per cui avevo scelto di partire era perché alcuni amici ci erano già stati, sentivo i loro racconti e mi era venuta voglia di fare questa esperienza, un po’ l’idea di dare una mano e fare qualcosa per gli altri. Era anche l’anno della laurea e mi ero fatta questo regalo. Durante la prima esperienza ero con tanti italiani, non ero venuta così tanto in contatto con il Kenya vero e proprio, mi era rimasta la curiosità, mi aveva lasciato la voglia di ritornare. Nell’ottobre 2013 sono tornata e rimasta per un anno, questa volta ero sola, presso l’ospedale di Kiirua, c’erano altri volontari italiani che venivano a fare volontariato per pochi mesi. Avevo deciso di fare volontariato come infermiera in ospedale, avendo già fatto esperienza nel mio lavoro, volevo provare cosa sarebbe cambiato a svolgerlo fuori dall’Italia. Da 3 anni sono volontaria a Kirua, sempre nello stesso ospedale.

Jacopo: Credo semplicemente sia parte di una sensibilità caratteriale, ognuno di noi ha qualcosa da dare, per chi ama mettersi in gioco questo tipo d’esperienza è unica.

Cosa vi ha insegnato questa esperienza?

Laura: Per quanto mi riguarda, si parte anche per se stessi. La prima volta forse si cerca un po’ l’avventura e si vuole essere d’aiuto. Nel mio caso è stata curiosità e una voglia di ritornare mia. Facendolo sia per gli altri, che per sé, senti di aver fatto qualcosa di buono, di esserti arricchito, torni a casa e un pochino sei cambiato, hai scoperto lati nuovi del mondo, cose che leggevi solamente le hai vissute e magari scoperto che sono diverse, ti arricchisci in conoscenze, c’è dell’energia in più  data dall’idea per aver fatto qualcosa di buono. Lo si può fare anche in Italia, non c’è bisogno di andare in Africa, ma forse andando lontano si è un po’ più arricchiti.

Jacopo: Lascia tutto… il piacere di dare una mano, di conoscere altre culture, stili di vita, adattarsi e condividere storie. Il piacere di vivere all’interno di un gruppo molto più intensamente di come normalmente viviamo, apprezzare i piccoli gesti abbandonando gli aspetti superflui della nostra quotidianità.

Ci sono stati momenti di paura o tensione durante il vostro periodo in Africa?

Laura: È capitato una volta nel 2011, ci spostavamo dal villaggio alla casa in cui stavamo in auto. Una sera tornando, era abbastanza buio, ci avevano fermato ed era salita una guardia con un mitra, dicendo che c’erano in giro dei banditi e non era sicuro per noi non avere una scorta, così abbiamo fatto il viaggio con la guardia armata. In realtà non abbiamo vissuto nessun pericolo, era strano avere lui con il mitra in auto. Durante le elezioni nel 2017, poi, ci sono stati scontri, da qui le notizie non erano ben chiare, in Italia apparivano scontri molto grossi, soprattutto a Nairobi, da noi non ne parlavano più di tanto i telegiornali, cercavano di sminuire. A volte c’è più paura in Italia, anche ora sul rapimento qui hanno dato giusto una notizia veloce, se ne parla ovviamente, ma non si sa granché.

Jacopo: La situazione politica congolese è instabile da anni, ogni volta prima di partire ci informiamo sulla situazione, in realtà poi Kinshasa non è pericolosa come si pensa, il problema delle nuove elezioni non sembra mai evolversi. Ci sono alcune regole comportamentali per non creare situazioni spiacevoli, il razzismo esiste anche nei confronti dei bianchi, come reminiscenza del periodo coloniale. Uno degli aspetti più belli del nostro lavoro è cercare di “abbattere” questa piaga, possiamo essere amici e tutti uguali, con esperienze importanti e che valga la pena ricordare per tutti.

Quanto accaduto negli ultimi giorni, non vi ha fatto cambiare idea? Lo rifareste?

Laura:  Il rapimento di Silvia anche se fosse successo il giorno prima della mia partenza credo non avrebbe cambiato molto. Sono dell’idea che se qualcosa deve succedere, succede dappertutto, so che si critica dicendo “se l’è andata a cercare, incosciente” ma in realtà, sono dell’idea che succede dappertutto che sia di matrice terroristica o per rapina, non credo faccia differenza il posto in sé. Qui siamo un po’ in ansia, non per la paura, ma perché si sente una connazionale quasi come di famiglia, spero il meglio per lei mentre aspetto buone notizie.

Jacopo: Certamente, ho trovato nel Congo una seconda casa, in alcune persone una seconda famiglia, non poterci più andare mi farebbe stare male. Sono particolarmente legato al progetto della costruzione dell’asilo e spero di continuare ad avere la possibilità di portarlo avanti. Mi dispiace moltissimo per Silvia, vivo con tristezza quello che le è successo sperando possa risolversi tutto per il meglio. Purtroppo, i volti più trisiti dell’Africa sono la povertà e la corruzione.