Investimenti mafiosi nel lecchese e in Lombardia: ecco i dati

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LECCO – Presentati i dati emersi dall’indagine condotta dal centro Transcrime dell’Università Cattolica di Milano nell’ambito del seminario “Gli investimenti mafiosi in Lombardia e nella provincia di Lecco. Quanti sono, dove sono e come si possono prevenire?” . Relatore il dottor Stefano Caneppele ricercatore in sociologia della devianza nell’ateneo milanese, che oltre ai risultati, ha illustrato anche i criteri e la metodologia adottati durante il lavoro. Incontro che ha riservato anche una sorta di fuori programma, quando il Comandante provinciale dei Carabinieri Marco Riscaldati, ha contestato parte dei dati illustrati.

Ma andiamo con ordine. Caneppele ha per prima cosa spiegato come “la ricerca è stata condotta con l’intento di creare un modello di indagine riproducibile scientificamente nel tempo: i dati raccolti – ha proseguito il ricercatore – rappresentano una fotografia fatta per fissare la situazione attuale e per poter cogliere l’evoluzione del fenomeno degli investimenti malavitosi nei prossimi anni”.

Il rapporto presentato da Caneppele è stato realizzato tenendo in considerazione quattro domande fondamentali: dove sono diffuse le mafie in Italia? Quanto ricavano le mafie dalle loro attività illegali? Come e dove reinvestono i loro ricavi? E come è possibile individuare i settori più vulnerabili agli investimenti mafiosi?

Tra i dati illustrati significativi quelli relativi al ricavo delle mafie nei principali mercati illegali (estorsione, usura, tabacco, rifiuti, gioco, droghe, armi…), che rappresentano l’1,7% del PIL nazionale per un guadagno complessivo attestato in media sui 25,7 miliardi di euro. Per quanto riguarda la regione Lombardia, i ricavi illegali valgono 3,8 miliardi di euro, pari all’1,2% del PIL regionale. Tuttavia non tutti questi soldi finiscono direttamente nelle tasche delle organizzazioni criminali, tant’è che in Lombardia i ricavi delle mafie valgono in media 1,05 miliardi di euro, circa lo 0,3% del PIL regionale.

Per quanto concerne gli investimenti effettuati dalle mafie: secondo i dati emersi, la cui fonte sono stati i database sui bei confiscati nel periodo 1983-2011, “le mafie – ha spiegato Caneppele – investono nell’economia legale per nascondere proventi illeciti e riciclare così il denaro accumulato, ma anche per aumentare il proprio capitale, per ottenere il consenso sociale e il controllo territoriale”.

Principali settori di investimento delle organizzazioni malavitose sono risultati essere i beni immobili (circa il 50%) e le aziende: “nell’investimento mafioso nelle aziende – ha sottolineato Caneppele – il controllo del territorio e il consenso sociale sembrano più determinanti del profitto”.
Un’osservazione che ha trovato d’accordo anche il Presidente del Tribunale di Lecco, dottor Renato Bricchetti: “il controllo sociale è maggiore del profitto, ma per le organizzazioni criminali, insieme al patrimonio e al controllo del territorio, è forse ancora più fondamentale la possibilità di poter operare in ambiti dove sia possibile riciclare il denaro sporco. Per questo oltre alla prevenzione servirebbe un attento controllo dei patrimoni: è lì che si colpisce il cuore delle attività criminali”.

Sul tema del controllo del territorio è intervenuto il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Lecco, dottor Tommaso Buonanno: “anche in provincia di Lecco il controllo si attua con il riciclaggio delle attività economiche, ma non ci sono i casi eclatanti di morti ammazzati, quindi appare come una realtà normale. Invece Lecco fa parte della Lombardia, una regione che offre un’ampia gamma di settori dove reimpiegare le ricchezze sporche”.

Curioso è risultato il dato relativo alle aziende mafiose confiscate nella provincia di Lecco, soprattutto se rapportato al quadro nazionale: dal documento presentato, sono 20 le aziende, legate soprattutto al campo della ristorazione, confiscate nella provincia lecchese, pari a un tasso di 7,3 aziende ogni 10.000 registrate; per la cronaca, il dato lecchese rappresenta un tasso superiore a province come Napoli, Salerno, Lecce e Brindisi.

Quest’ultimo valore ha suscitato il dissenso e le critiche del Comandante provinciale dei Carabinieri, il Tenente Colonnello Marco Riscaldati: “è abominevole che l’indagine si basi su un così ampio lasso di tempo: le mafie si muovono molto più velocemente di quanto si creda, pertanto la dilatazione temporale che va dal 1983 al 2011 annacqua i dati registrati”.
Secondo il Comandante Riscaldati, “la ricerca muove da un peccato originale: lo strumento di indagine che si propone di creare dovrebbe essere di supporto allo strumento operativo delle forze dell’ordine, pertanto dovrebbe essere fatto da addetti del settore e non da ricercatori con buone capacità di scrittura, altrimenti ci ritroviamo continuamente con buoni scrittori in tv che parlano di mafia!”. “Inoltre – ha proseguito Riscaldati – il concetto di aziende mafiose per me non esiste: al massimo possiamo parlare di quelle infiltrare o contigue alla mafia, così come mi sembra strano che le entrate delle ‘ndrangheta in Lombardia, descritta da tutti come una regione piena di criminalità, siano solo un settimo dell’infiltrazione mafiosa totale. I dati presentati – ha concluso il Comandante provinciale dei Carabinieri – sono completamente scollegati dalla realtà: non è possibile che Lecco abbia un tasso di aziende confiscate maggiore a quello di Napoli, non fosse altro per il fatto che le aziende confiscate in provincia appartengono tutte alla stessa famiglia: oppure vogliamo far credere ai cittadini che Lecco sia più mafiosa di Napoli?”.

Presenti al tavolo dei relatori anche Rossella Pulsoni, segretario generale della Camera di Commercio, Stefano Simonetti assessore provinciale, Virginio Briviosindaco di Lecco e il Prefetto di Lecco Antonia Bellomo che ha ricordato: “i dati esposti sono conosciuti dalla nostra provincia, ma vanno contestualizzati. I numeri reali sono in funzione dell’attività di contrasto condotta da polizia e magistratura, quindi se Lecco ha un certo numero di beni confiscati è grazie alle procedure di confisca attuate a metà anni ’90 contro il clan della famiglia Coco Trovato”.