La scelta di Mauro Lanfranchi: “Basta professionismo, torno fotoamatore”

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Mauro Lanfranchi

LECCO – “Sono tornato a fare l’amatore. Ho deciso di ‘scalare marcia’, rallentare, per tornare a rivivere la fotografia come agli inizi, divertendomi”.

Lo ha fatto partecipando (e vincendo) il concorso promosso dal Cai Crema, con uno scatto dal titolo “Sospesi oltre le nubi” con il quale ha immortalato uno scalatore sulla Cresta Segantini in Grignetta mentre, dietro, un lenzuolo di nuvole accarezza i prati del Pertusio.

“Sospesi oltre le nubi” foto di Mauro Lanfranchi vincitrice del concorso fotografico edizione 2018 promosso dal Cai di Crema

 

Non certo un pensionamento ma di sicuro un cambio di rotta. Gli anglosassoni lo chiamano “downshifting”, una virata nel mare della vita: ridurre i ritmi e i modi di lavoro (anche gli introiti), una svolta decisiva con un approccio alla quotidianità differente.

Così ha deciso di fare Mauro Lanfranchi, lecchese di Laorca, classe 1952, sposato con Celestina, e padre di due figli: Mara di 25 anni e Matteo di 32. Fotografo professionista da oltre 30 anni, durante i quali ha collaborato con più di 250 testate giornalistiche in tutto il mondo, pubblicato libri, vinto concorsi tra i più importanti, arrivando ad avere un archivio di ben oltre un milione di scatti tra diapositive e immagini digitali.

Un mostro sacro della fotografia naturalistica che la rivista Alp, in un numero speciale dedicato ai fotografi di montagna di fama mondiale, inserì nella top 20.
Oggi Lanfranchi ha deciso di rallentare: “Ho diminuito il flusso di lavoro mantenendo solo qualche collaborazione come quella con la Banca Popolare di Sondrio e poche riviste storiche tra cui Meridiani Montagne. Voglio tornare alla vecchia passione dei concorsi fotografici”.

E la straordinaria carriera di Lanfranchi è cominciata proprio da lì, da concorsi. Era la fine degli anni ’70 quando, commesso presso l’allora negozio di abbigliamento Vestes, situato in via Cavour a Lecco, manteneva la sua passione per la fotografia grazie ai concorsi: “Puntavo a quelli dove mettevano in palio strumenti e materiale, arrivavo a vincerne 10 – 15 all’anno e buona parte di quel che vincevo lo vendevo. Mi mantenevo così”.

Mauro Lanfranchi

 

Nato come fotografo subacqueo, passione grazie alla quale ha girato i più bei mari del mondo, solo più tardi passa alla fotografia naturalistica di montagna. All’inizio degli Anni ’80, si trova davanti ad un bivio: “Il negozio dove lavoravo stava per chiudere. Dovevo decidere se trovare un altro posto di lavoro uguale o puntare tutto sulla fotografia. Col senno di poi devo dire che ho fatto la scelta migliore, ma non è stato tutto rose e fiori, soprattutto all’inizio”.

Importante in quel periodo la frequentazione del Foto Club Lecco, ai tempi del presidente Aldo Manessier: “E’ stata fondamentale. Il Foto Club Lecco è stato basilare per la mia formazione”.

La prima collaborazione retribuita è stata con la rivista “Natura Oggi” del gruppo Rizzoli, “poi pian piano mi si sono aperte le porte del professionismo, ma ho dovuto chiudere con i concorsi – spiega – Non mi sembrava giusto nei confronti dei fotoamatori. Oggi, socchiudo la porta del professionismo e torno a misurarmi nuovamente con questo mondo. C’è infatti una differenza sostanziale tra professionista e fotoamatore. Per assurdo il fotoamatore è più bravo del professionista perché punta alla foto più bella, di contro il professionista ha un livello mediamente più alto perché gli viene chiesto di illustrare un servizio intero e non una singola foto. Anche tecnicamente vi sono delle differenze: il professionista rapportandosi con le riviste punta ad avere immagini da cartolina, scatti che non vanno bene per i concorsi, dove invece servono foto essenziali con linee pulite. Insomma due mondi diversi”.

Come del resto lo sono la fotografia analogica su pellicola e quella digitale. “Per me è stato un passaggio traumatico. Sono stato uno degli ultimi ad abbandonare l’analogico: nel 2008 scattavo ancora metà su pellicola e metà in digitale, poi nel 2009 il passaggio definitivo al digitale, quando sul mercato è uscito il full frame (pieno formato, ndr) ed ho acquistato una D700 Nikon”.

Un passaggio forzato per chi, come Lanfranchi, si definisce un puro della fotografia: “Pur avendo una macchina di nuova generazione, scatto ancora come se avessi tra le mani una reflex analogica, nel senso che le foto devono venire giuste, non vanno ritoccate. C’è chi sa usare vari software, utilizza filtri, lavora in HDR, io preferisco non intervenire sugli scatti. Solo in casi rarissimi ed estremi uso il polarizzatore. Ma non vado oltre”.

La digitalizzazione ha tuttavia ridotto le difficoltà del mestiere, rendendo tutto più semplice. In un simile panorama si può ancora emergere?

“Iniziamo col dire che il digitale ha reso tutto, o quasi, più facile, ma ha reso più difficile la vita ai professionisti. I prezzi delle fotografie sono crollati e mantenersi è diventata cosa ardua. Basti pensare che 20 anni fa in tutta Italia c’erano, si e no, 12 persone che facevano il mio mestiere. Oggi è cambiato tutto e per emergere nel professionismo è difficilissimo. Si dovrebbe fare qualcosa di diverso rispetto a quello che fanno tutti, ma è complicato se non impossibile. Con il digitale sempre più persone ottengono foto belle, il problema sono i soggetti: tutti uguali e sempre quelli”.

E infatti da sempre, Lanfranchi, per distinguersi, è a caccia di luoghi ameni, valli nascoste, punti di appostamento impensabili: “Ho provato a scavare trune nella neve, bivaccare a -20° C per tutta la notte così da poter cogliere l’attimo giusto all’alba, come ho fatto poco sotto la cima del Piz Morteratsch da dove si gode una visuale meravigliosa della cresta Biancograt del Bernina. Uno spettacolo. Ma ho provato anche ad aspettare per ore nascosto in un appostamento camouflage l’arrivo dei galli forcelli nelle arene naturali di combattimento in alta montagna”.

Ma non è tutto: “Serve una conoscenza del territorio approfondita, dettagliata, oserei dire viscerale. Prima la Grignetta, la mia montagna del cuore, poi tutte le Orobie, sono luoghi che ho girato in lungo e in largo per anni e anni, individuando e trovando appostamenti e giuste angolazioni. So esattamente per tutto l’arco dell’anno quali sono luoghi, giorni e ore precise per fotografare le nostre montagne in particolari condizioni di luce. Un esempio? La luna che sorge dietro il Resegone alle spalle della croce, è un evento che accade un paio di volte all’anno”.

Ma ancora non basta: “Serve anche una profonda conoscenza botanica, micologica, faunistica per chi fa foto naturalistiche di montagna. La bella foto serve, ma per venderla è necessario abbinarle anche una descrizione esatta e precisa. I nomi dei fiori per esempio, possono cambiare nel corso degli anni a seguito di nuove catalogazioni, così come quelle dei funghi, ma più semplicemente può cambiare il gestore di un rifugio, tutte informazioni necessarie perchè solo cosi si svolgere un lavoro a regola d’arte”.

Per emergere è necessario distinguersi e Lanfranchi, dall’alto della sua esperienza, in un certo qual modo lo insegna ancor oggi, percorrendo in forma sperimentale una nuova strada: “Diciamo che sto giocando con le immagini in time lapse (foto ad intervalli di tempo messe in sequenza, ndr). Qualcosa ho già fatto, la cosa mi affascina e, volendo, avrei anche trovato chi è interessato a questo tipo di lavoro. Vedremo”.

Eppure, nel tourbillon della vita di Landranchi, c’è sempre stato un punto fisso: la Vespa.
(Ride) “E’ la mia compagna di vita. Non ho mai fatto la patente dell’auto e ho sempre girato con lei. Ne ho cambiate 8, tutte rigorosamente a marce. Sono andato ovunque con qualsiasi condizioni meteo: in ferie in Sardegna con mia moglie o a Livigno per lavoro con ghiaccio e neve a – 20° C”.

Quasi una sorta di elogio della lentezza il suo, tanto lontana dalla frenesia dei nostri tempi. Un modo quasi romantico di spostarsi nel mondo che forse, ha contribuito ad acuire quello spirito di osservazione che fa di Mauro Lanfranchi uno dei fotografi naturalistici più quotati al mondo.