Lezione di legalità con Maria Falcone e Alfredo Morvillo

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LECCO – Educare alla legalità con l’esempio continuo, la testimonianza attiva e il ricordo sempre presente di chi ha sacrificato la propria vita per gli ideali più nobili e alti: è questo il messaggio principale emerso nell’incontro di ieri sera con Maria Falcone e Alfredo Morvillo presso la Camera di Commercio, organizzato da Appello per Lecco in collaborazione con la stessa Camera di Commercio, il Comune e la Provincia di Lecco.

E’ possibile rispondere alla crisi economica, sociale, culturale e istituzionale di questi ultimi tempi con esempi e proposte di legalità? Se lo sono chiesti ieri sera Maria Falcone e Alfredo Morvillo, dopo aver ricevuto da parte degli studenti del liceo artistico “Medardo Rosso” una targa commemorativa denominata “Sulla strada della legalità” e raffigurante l’ombra di un pneumatico sull’asfalto. Incalzati dalle domande dei giornalisti Marco Deriu e Viviana Musumeci, la sorella del magistrato ucciso dalla mafia e il fratello della moglie, anch’essa perita in seguito alla strage di Capaci, hanno cercato di dare alcuni suggerimenti in termini di legalità ai tanti cittadini lecchesi accorsi per l’occasione.

“La lezione sulla legalità non la facciamo noi – ha esordito la sorella di Falcone – la lezione l’hanno lasciata Giovanni e gli uomini della sua scorta; il loro lavoro, le loro battaglie, le sconfitte e le vittorie sono il vero patrimonio da cui partire per ragionare di legalità”. I ricordi legati a quei drammatici momenti del 1992 e l’impegno profuso negli anni a venire con la “Fondazione Giovanni Falcone” hanno permeato tutti gli interventi della sorella del giudice: “Soprattutto dopo la morte di Paolo (Borsellino, ndr) mi sono sentita chiamata in causa direttamente per non perdere il loro lavoro e così è nata la Fondazione, che si prefigge lo scopo di far conoscere al mondo le idee di Giovanni: un uomo che ha creduto profondamente nel valore e nell’amore per lo Stato e la democrazia”.

Dal momento che uno dei cardini del pensiero del giudice Falcone, come ha ricordato la sorella, era quello secondo cui la mafia non si sconfigge solo con la repressione da parte dei magistrati, ma anche e soprattutto con un rinnovamento culturale della società, per la Fondazione è stato quasi spontaneo iniziare a collaborare con le scuole e con i giovani che lo richiedevano. “Siamo andati nelle scuole – ha ricordato Maria Falcone – e abbiamo portato la nostra testimonianza, perché nella lotta contro la mafia ognuno deve fare la sua parte, secondo la propria etica che si è plasmata e formata negli ambienti familiari e scolastici”.

“Raccontare la storia di Giovanni fa bene anche agli insegnanti – ha proseguito Maria Falcone – ma soprattutto permette ai ragazzi nati dopo i fatti del 1992, sempre più curiosi e desiderosi di conoscere, di venire a contatto con la vicenda di un eroe onesto, che ha immolato la propria vita in nome di quello che lui chiamava “desiderio di Stato”.

Sempre parlando dei giovani e dell’operato della Fondazione, Maria Falcone ha sottolineato di “essere felice quando i ragazzi mi portano i loro lavori dedicati a Giovanni, perché significa che hanno fatto propri quei dolori scaturiti dalle stragi di Capaci e di via D’Amelio”. “Lavorare con i giovani – ha ribadito ancora Maria Falcone – è davvero l’unico modo per trasformare radicalmente la società, altrimenti rimaniamo ricattabili al primo mafioso che passa, come dimostrano i recenti fatti scoperti in Lombardia”.

Il lavoro della Fondazione in questi anni è stato determinante per continuare a parlare di mafia e di strumenti utili a sconfiggerla, non solo in Italia: “lavoriamo anche con diversi paesi europei, i quali hanno bisogno di studiare il lavoro di prevenzione svolto da Giovanni, quello che noi abbiamo definito il “metodo Falcone”, ovvero il suo modo di lavorare”.

In conclusione, non è mancato un ricordo familiare, legato agli aspetti che più le mancano del fratello Giovanni: “come sorella avrei preferito che fosse stato meno conosciuto, perché l’avrei avuto per più tempo con me; come cittadina mi manca il suo intuito e il suo lavoro, la sua capacità di aprire una nuova via nelle indagini contro la mafia. Certamente resta il rimpianto – ha concluso la signora Falcone – ma nel dolore c’è anche la gioia per l’eredità tecnica lasciata in dono”.

Di azione moralizzatrice e di strumenti più precisi per recuperare la legalità e contrastare i fenomeni mafiosi ha parlato invece il magistrato Alfredo Morvillo, fratello di Francesca Morvillo, moglie di Giovanni Falcone.

“I primi a dare un esempio di legalità devono essere gli amministratori delle istituzioni e i politici” – ha precisato Morvillo; “ormai siamo arrivati a un punto in cui il Paese necessita di un rinnovamento totale della classe dirigente: loro avevano in mano le redini del paese e loro ci hanno portato in questa crisi”. “L’azione moralizzatrice” – ha continuato il magistrato – “deve partire da loro, si deve tornare all’idea che la politica è un servizio da offrire alla collettività per un tempo limitato: per riavvicinarci all’idea di politica come servizio e non come potere, credo che uno strumento pratico, regolato severamente da una legge dello Stato, possa essere quello del numero limitato dei mandati per ciascun candidato eletto”.

Un’altra dura critica mossa da Morvillo è stata quella destinata alla cosiddetta “antimafia delle parole, la vera palla al piede per la lotta alla mafia”: “purtroppo è l’unica antimafia presente a Palermo e in Sicilia e supera di gran lunga l’antimafia delle iniziative. A parole e durante i dibattiti, molte delle persone che si sa essere vincine o comunque legate ad ambienti mafiosi sono tutte contrarie alla mafia, ma quando poi serve schierarsi in azioni concrete, si dileguano per non pagare un costo sociale troppo rischioso”.

Morvillo non le manda a dire a nessuno, governo tecnico compreso. Sollecitato da una domanda della giornalista Viviana Musumeci, Morvillo ha ricordato che “come magistrati impegnati nella lotta contro la criminalità organizzata, abbiamo sempre più bisogno di interventi governativi che ci diano strumenti efficaci per contrastare la mafia, soprattutto da un governo di tecnici che non ha debiti elettivi con nessuno”. Il vero punto di forza della mafia, ciò che secondo Morvillo andrebbe combattuto aspramente in tutti i modi e con tutti i mezzi a disposizione, “sono le relazioni esterne alla mafia, che costituiscono il vero capitale mafioso; oggi la mafia ha sempre più interesse a infiltrarsi in ambienti apparentemente non propri, come il tessuto sociale ed economico di un dato territorio”.

“E’ dunque necessario – ha concluso Morvillo – che anche con un intervento legislativo venga impedito a chi non è al di sopra di ogni ragionevole sospetto di poter ricoprire cariche di rappresentanza e responsabilità”.