Mandello. I genitori di Pascazio: “Ha portato fino alla morte il cappello alpino”

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MANDELLO – Una serata di ricordi. E di emozioni. Una serata per trasmettere i valori più autentici scaturiti da una storia vera e semplice. Una storia purtroppo con un finale tragico, ma ugualmente con un messaggio d’amore e di speranza. L’amore di un ragazzo poco più che ventenne verso la patria, la famiglia e gli alpini e la speranza che anima ogni azione e ogni iniziativa delle penne nere.

La storia andata in scena ieri sera al Teatro San Lorenzo di Mandello è quella di Luigi Pascazio, morto nel maggio 2010 in Afghanistan. Lui, caporalmaggiore degli alpini originario della Puglia, si trovava su un blindato che faceva parte di una colonna di automezzi in fase di spostamento nel Nord-est del Paese, in un’area controllata dal contingente italiano, quando un’esplosione aveva posto fine alla sua esistenza e a quella di Massimiliano Ramadù, sergente di Velletri.

Ieri a Mandello a parlare di Luigi e del suo amore per la penna nera c’erano i genitori del giovane, mamma Maria e papà Angelo. Seduti inizialmente tra il pubblico in prima fila, accanto al capogruppo dell’Ana mandellese Aldo Zucchi, hanno ascoltato le parole con cui Emiliano Invernizzi, vicepresidente della sezione Ana di Lecco, ha introdotto l’incontro.

Invernizzi ha ricordato il legame che unisce la terra lariana a Bitetto, il paese della provincia di Bari dove viveva appunto Luigi con la famiglia. “Era il 1993 – ha spiegato – e quell’anno le penne nere mandellesi si recarono in Puglia per l’annuale adunata nazionale dell’Ana. Luigi Pascazio, alunno delle elementari, tolse il cappello alpino a Michele Campanella, penna nera del gruppo Ana di Mandello originario proprio di Bitetto, e se lo mise in testa. Campanella gli disse: ‘Ma lo sai che chi mette il cappello alpino lo porta fino alla morte?’. Ebbene, Luigi di quel cappello si innamorò subito, al punto da fargli dire che da grande avrebbe fatto l’alpino”. “Così è stato – ha aggiunto Invernizzi – e quel cappello lui l’ha realmente portato fino alla morte”.

“Luigi è caduto compiendo il proprio dovere – ha detto sempre il vicepresidente dell’Ana lecchese – ed è giusto che si sappia che partecipare a quelle missioni non è semplice perché c’è da lavorare duramente, magari a volte senza neppure ricevere il rancio e con l’acqua che spesso scarseggia… Quel maledetto giorno di maggio di tre anni fa Luigi aveva la febbre, ma ha voluto far parte ugualmente di quella colonna di mezzi perché così era lui, perché così sono i nostri alpini”.

Toccante la successiva testimonianza di mamma Maria. “All’inizio credevo di impazzire – ha detto – e niente mi aiutava a sopportare quel dolore così forte. Dall’Afghanistan un maresciallo mi telefonò e mi raccontò che aveva visto due colombe bianche posarsi, rialzarsi in volo e poi tornare sopra la bara di Luigi e su quella di Massimiliano. ‘E’ lo Spirito santo che è sceso su di loro’, mi disse. Adesso la ferita si sta rimarginando, anche se non guarirà mai. Penso però che prima di partire per l’Afghanistan Luigi mi aveva raccomandato di essere felice per lui, così adesso sorrido e so che devo guardare avanti”.

In sala c’erano anche alcuni alpini del gruppo di Osio Sotto con il loro capogruppo Raffaele Poma e con Domenico Seminati. Fu loro, qualche tempo fa, l’idea di dedicare a Luigi Pascazio una rotatoria realizzata nel loro paese, in terra bergamasca, inaugurata nel 2011. “La prima volta che ho incontrato i genitori di Luigi – ha affermato Seminato – ho detto loro: ‘Benvenuti, amici’. E questo è stupendo. Il sogno di Luigi era avere una famiglia e per noi quel ragazzo sarà sempre e soltanto un nostro figlio, da ricordare non come un eroe ma come una persona semplice e schietta”.

“Quando si indossa un cappello alpino – ha detto dal canto suo il presidente dell’Ana di Lecco, Marco Magni – succede sempre qualcosa di magico e adesso Luigi ci insegna quali valori vi sono sotto quel cappello. Prendiamo esempio da lui e diffondiamo lo spirito e i valori che animano ogni azione delle penne nere”.

Per volontà della famiglia, la storia di Luigi Pascazio è diventata un libro, pubblicato di recente e realizzato con la collaborazione del giornalista Antonio Loconte. Si intitola “Luigi Pascazio, il ragazzo nato con l’uniforme”. Un ragazzo che Mandello e i mandellesi ieri sera hanno conosciuto da vicino.