Patrignani e quel verde irriproducibile delle Guzzi da Gran premio

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MANDELLO – La sua vita è sempre stata legata a filo doppio alla motocicletta, sia per la professione svolta (ha curato le pubbliche relazioni per Moto Guzzi, Brembo, Cagiva e Garelli ed è stato direttore sportivo della Suzuki Europa e della Garelli Corse) sia nelle vesti di corridore (ha disputato 150 gare e nel suo albo d’oro figurano due Milano-Taranto, due Giri d’Italia, tre volte classificato al Tourist Trophy, primatista mondiale con una Guzzi 1000 e un Garelli 50), oltre che per i suoi viaggi in solitaria.

Indimenticabile, in particolare, quello del 1964 da Milano a Tokyo in sella a una Vespa 150. Era l’anno delle Olimpiadi giapponesi. E quel raid sarebbe rimasto la sua impresa in solitaria più conosciuta, anche se non meno ardua fu la traversata africana da Città del Capo all’Asmara da lui compiuta due anni dopo con una Guzzi Dingo 50.

Lui è Roberto Patrignani e quella del ’64 fu un’impresa certamente irripetibile pensando anche soltanto all’itinerario coperto da Patrignani, che aveva toccato Jugoslavia, Grecia, Turchia, Siria, Libano, Giordania, Iraq, Iran, Afghanistan, Pakistan, India, Thailandia e Malesia, oltre appunto al Giappone, e che gli aveva fatto scrivere qualche anno più tardi, in riferimento a un autoscatto che lo ritraeva in Afghanistan accanto alla sua fedele Vespa: “Difficile che nell’Afghanistan di oggi sbocci un candido pensiero come quello da me espresso nel 1964, quando ebbi a dire che se quell’autoscatto avesse lasciato trasparire anche l’anima è proprio nello stato in cui mi trovavo quel giorno che vorrei presentarmi a San Pietro”.

Roberto Patrignani, nato a Firenze il 21 novembre 1935 e scomparso nel gennaio del 2008, era anche giornalista e scrittore. E nel ’94, sulla rivista Motosprint, nella sua rubrica “Resti tra noi” dedicò un articolo al mitico colore verde delle Guzzi da Gran premio, un “miracolo” degli anni Cinquanta capace di resistere a ogni contraffazione.

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“Il viandante che si trovasse a percorrere il viottolo in salita che da Crebbio attraversa la frazione Lombrino – scriveva Patrignani – per proseguire verso i prati di Perla  rimarrebbe a un certo punto estasiato davanti a un’apparizione folgorante quanto incredibile: la porticina in legno di larice di un casolare dipinta con il verde ramarro “ufficiale” delle Moto Guzzi da corsa anni Cinquanta”.

Roberto Patrignani spiegava che il verde Guzzi autentico era pressoché irriproducibile. “Si trattava di una vera e propria casualità – osservava nell’articolo – riguardante la colorazione assunta dalla lamiera di elektron per serbatoi e carenature in seguito all’applicazione di un prodotto specifico, una soluzione chimica che evitava il “fiorire” del delicato metallo con il passare del tempo. Verde era la soluzione e verdi diventavano le Guzzi da Gran premio”.

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Più avanti nell’articolo Patrignani scriveva che quel “verde proibito” era “il tocco finale che come la vernice magica del professor Alambicchi (Corrierino dei piccoli dei… miei tempi) avrebbe reso vera, viva, irresistibile una replica perfetta della V7 dei record del 1969, cui il sottoscritto prese parte in squadra con Vittorio Brambilla, Bertarelli, Mandracci, Alberto Pagani e il compianto Franco Trabalzini”.

“In Guzzi – spiegava – furono di rara pazienza: mi prestarono un carburante perché fosse perfettamente “replicato” dallo specialista Bazzani di Sanguinetto (Verona) col beneplacito della Dellorto. Consentirono che l’amico Elio Bagnoli rilevasse tutte le misure per telaio e serbatoio. In quanto a Bruno Scola, lui sapeva benissimo come fare il motore perché era della partita anche allora, come motorista dell’équipe capitanata da Lino Tonti. A… capolavoro finito non restava che una “spruzzata” del verde Guzzi, con tanto di raro e prezioso campione in lamierino originale”.