Ritardi e cancellazioni, odissea sui treni. La lettera di una pendolare

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LECCO – Dopo una nuova mattinata di disagi sui treni della linea Lecco-Milano (qui l’articolo), riceviamo e pubblichiamo la lettera di una pendolare: 

“Partire da Lecco alle 7.22 e arrivare a Milano alle 9.10 vale a dire impiegare quasi due ore (108 minuti) con un treno diretto per percorrere 45 chilometri. Sì… viaggiare… ma a circa 25 chilometri orari (probabile si faccia prima in bicicletta e non con quella elettrica). Non male vero? Lo sappiamo, non par vero, eppure con Trenord si può.

E’ successo questa mattina quando il treno delle 7.22 da Lecco per Milano si è fermato tra i campi alle porte di Carnate dove è stato annunciato un guasto agli impianti che ha determinato l’arresto del treno.

Dopo circa venti minuti e annunci vari il treno è ripartito e si è fermato (come previsto) alla stazione di Carnate per far salire i viaggiatori. Peccato però che sia ripartito da lì solo alle 8.42. Nel frattempo è successo di tutto e di più: sono stati annunciati ritardi fino a un’ora sulla Lecco/Milano e sulla Milano/Bergamo, cancellazioni di treni per Milano, passeggeri che scendevano da un treno (per Centrale) per salire su un altro (per Garibaldi) nella speranza che partisse prima e di recuperare qualche minuto (ma cos’è un minuto quando viaggi con oltre 45 minuti di ritardo?), controllori nel caos. Se tutto questo non bastasse il massimo del ridicolo è stato raggiunto alle 8.56 a Monza, quando le porte del treno hanno fatto fatica ad aprirsi gettando nel panico i pendolari monzesi pronti a salire. Ma non era finita: il treno ripartito in fretta e furia si è fermato dopo pochi metri per poi faticosamente ripartire e arrivare a Milano alle 9.10.

Non bastassero i ritardi, a inasprire la situazione l’atteggiamento della bionda controllora del treno che a Lecco, pur con i vagoni di seconda classe pieni, ha impedito ai viaggiatori con biglietto di seconda classe di stare in prima classe. Qualcuno si è messo per terra in zona bagni pur di non viaggiare in piedi. Anche perchè i seggiolini negli spazi tra gli scompartimenti sono stati intelligentemente eliminati dai treni ristrutturati (treni vecchi ma ripitturati e sistemati con un bel make up che non toglie nulla all’età effettiva e alle conseguenti problematiche prestazionali, avete presente quel detto dialettale “‘na lavada ‘na lustrada la par gnanca duperada”?).

Ma, in ben altre faccende affaccendata (un ritardo che cresceva di minuto in minuto con la sola giustificazione di un fantomatico guasto), la solerte dipendente di Trenord “prudentemente” non si è proprio accorta che la prima classe ancor prima di Carnate era già piena come un uovo e non certo di soli viaggiatori muniti di biglietto di prima classe. Quindi non ha effettuato i controlli del caso e ha omesso di sfrattare i viaggiatori con biglietto di seconda classe o di chiedere la differenza sul biglietto (quindi arrecando danno patrimoniale a Trenord verrebbe da pensare) a chi fosse stato disposto a sborsare qualche euro per il privilegio di viaggiare con un ritardo colossale ma di farlo almeno in prima classe (noblesse obblige).

Con Trenord non solo i ritardi sono all’ordine del giorno. Anche la totale mancanza di attenzione per i viaggiatori è una costante: con un (dis)servizio del genere, il buon senso richiederebbe di concedere – almeno – un posto a sedere ai malcapitati viaggiatori. Ovvero se proprio vogliamo essere intransigenti (intransigenti in Italia è una barzelletta, ma concediamo alla signorina il beneficio del dubbio) di esigere la differenza sul biglietto a quanti viaggiano in prima con il biglietto di seconda: magari con qualche eurino racattato qua e là sistemiamo qualche disservizio (vale a dire facciamo manutenzione così evitiamo i guasti)? Senza dimenticare quanti il biglietto neppure lo comprano.

Una consolazione in tutto questo c’è. Per fortuna il 7.22 da Lecco è un treno che usano quei privilegiati dei pendolari di Trenord e non trasporta se non raramente turisti, almeno abbiamo evitato una figuraccia internazionale. I panni sporchi meglio lavarli in famiglia”.

Lettera firmata