Violenza sulle donne, Lecco non fa eccezione: gli ultimi dati

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violenza donnaLECCO – La violenza di genere e, in particolare quella che avviene nella coppia ai danni della donna, è un elemento di cui si sente sempre più spesso parlare e negli ultimi giorni è rimbalzata anche a Lecco la notizia dell’arresto per stupro a Cinisello di un 42enne già finito in carcere nel 2013 per aver violentato una donna residente in città (vedi articolo).

Il capoluogo  manzoniano non è un’oasi felice immune da questo fenomeno, come dimostrano i dati raccolti dalle volontarie di “Telefono Donna Lecco”, l’associazione di volontariato attiva dagli anni ’90, che si occupa appunto di accogliere e sostenere le donne vittime di violenza domestica.

Nel 2013 le donne che si sono rivolte a “Telefono Donna Lecco” sono state 89, di cui 63 italiane e 26 straniere, mentre nel 2014 il numero di accessi è salito a 120 (questo anche grazie all’apertura degli sportelli ai consultori di Olginate e Introbio) divisi tra 90 donne italiane e 30 straniere.

“La nostra impressione è che questi dati rappresentino solo la punta di un iceberg – racconta Maria Grazia Zanetti, portavoce di Telefono Donna Lecco – e che il fenomeno sia molto più diffuso, per chi subisce violenza il passo di cercare aiuto è molto difficile da compiere, per questo in molti casi passano anni prima che la vittima decida di rivolgersi a un centro come il nostro o alle forze dell’ordine”.

A spiegare come si palesa la violenza sulle donne è la volontaria Lella Vitali: “Quando parliamo di violenza sulle donne non si intende solo quella fisica, ma vi sono aspetti più complessi. La violenza psicologica, ad esempio, è più sottile e pericolosa perché mina direttamente l’identità della donna, ne annulla la personalità e la rende sottomessa. Il sentirsi ripetere di continuo “sei un’incapace”, anche in pubblico o di fronte ai figli, porta a un’effrazione dell’identità, spinge la donna a sentirsi colpevole e ad assumere un’idea negativa riguardo la propria persona, cosa che rende più difficile anche la ribellione a questo genere di maltrattamenti”.

violenza_donne“Un altro tipo di violenza di cui ci occupiamo è quella sessuale – continua Vitali – che è forse la più difficile da raccontare perché porta con sé un senso di vergogna. Riceviamo spesso richieste di aiuto via telefono che, però, non si traducono in accessi al nostro servizio e cadono nel vuoto. La costrizione ad avere rapporti sessuali avviene anche all’interno della coppia, ma spesso è l’ultima cosa di cui le nostre utenti parlano perché alcuni stereotipi portano a vederla come una costrizione lecita quando avviene tra marito e moglie”.

“Vi è poi la violenza di tipo economico – conclude – molte donne non sanno quantificare il loro capitale in banca, sono all’oscuro di quanto guadagna il marito e non possiedono un bancomat, quindi non possono gestire i propri soldi. Il non lasciare autonomia economica alla compagna rappresenta una forma di controllo, senza disponibilità liquide sono anche più difficile le vie di fuga da una situazione di maltrattamento”.

Dai dati raccolti in questi anni di attività di “Telefono Donna Lecco” emerge che la violenza ai danni delle donne è un fenomeno trasversale per età e condizione sociale, accumunato da una solitudine dovuta a volte da una reale mancanza di supporto della rete familiare e altre volte dal silenzio della vittima stessa.

“I maltrattamenti domestici riguardano tutti gli strati sociali – illustra Zanetti – tra i 120 casi che abbiamo raccolto nel 2014, 30 donne hanno un reddito medio, ovvero guadagnano al mese circa 1500 euro, e 9 donne hanno uno stipendio superiore ai 1550 euro. Per quanto riguarda l’età, invece, abbiamo avuto accessi di ragazze appena maggiorenni, così come donne anziane oltre i 70 anni. Queste donne che subiscono violenza in comune hanno la solitudine, o manca la rete di supporto familiare, oppure sono loro stesse che tacciono la loro condizione a parenti ed amici”.

Altro dato rilevante è che i casi di maltrattamento sfociano in denunce penali solo in minima parte: nel 2013 agli 89 casi sono susseguite 25 denunce, di cui 5 successivamente ritirate, mentre le altre 59 donne non hanno voluto fare esposto alle forze dell’ordine. Nel 2014, quando gli accessi a “Telefono Donna Lecco” sono stati 120, sono state effettuate 28 denunce, di cui 5 ritirate, e le restanti 87 donne hanno deciso di non denunciare il compagno che le ha maltrattate. Le percentuali di denuncia dopo maltrattamento sono basse, ma quasi il doppio rispetto alla media nazionale, come riferisce Zanetti: “La percentuale di denunce sui casi trattati qui a Lecco è già un successo, nel resto d’Italia non funziona così, i motivi che spingono una donna a non rivolgersi alle forze dell’ordine sono molti, legati a errate convinzioni che devono essere smantellate. Per cercare di migliorare la situazione sono stati fatti specifici corsi agli operatori dei Pronto Soccorso, al fine di intercettare i casi di violenza domestica, e si stanno cercando stratagemmi per fare in modo che, una volta nota l’identità dell’aggressore, la denuncia possa partire in automatico”.

violenza donneSecondo alcuni studi effettuati riguardo il fenomeno della violenza domestica, questo sarebbe favorito da retaggi culturali e stereotipi legati alle differenze di genere. Per verificare e combattere questa tesi “Telefono Donna Lecco”, insieme alla Polizia, ha portato nelle scuole lecchesi (il liceo artistico nel 2013 e l’istituto Bertacchi nel 2014) il progetto “Esigo Rispetto” con il quale ha somministrato agli studenti un questionario e ha tenuto delle lezioni.

“I dati raccolti con il questionario nelle scuole mi hanno lasciata perplessa – commenta Zanetti – è emerso che alcuni stereotipi legati alle differenze di genere sono molto radicati, ad esempio il 90% degli studenti ha risposto che fare il bucato è un’attività che spetta prettamente alle donne, e che le dinamiche di coppia rispecchiano alcuni meccanismi legati alla gestione del potere da parte del maschio. Molte ragazzine ritengono normale che il fidanzato abbia accesso alle loro password per i social network o chiedere a lui il permesso per uscire con le amiche o partecipare alla gita scolastica. Mi è sembrato che si stia tornando indietro e non andando nella direzione di costruire rapporti di coppia positivi tra individui liberi”.

Per combattere il fenomeno della violenza domestica è importante il lavoro sinergico di istituzioni, forze dell’ordine e associazioni di volontariato.

“Le forze dell’ordine ci segnalano casi di donne maltrattate – spiega Vitali – e noi offriamo accoglienza, aiuto psicologico e il supporto di un avvocato. Importante, però, è creare l’indipendenza economica della donna, quindi, grazie a una donazione di 50 mila euro fatta da Lucia Codurelli e al lavoro della Fondazione Zanetti, abbiamo un progetto che aiuta l’inserimento nel mondo del lavoro di alcune donne maltrattate che si sono rivolte a noi. Non è facile, specialmente ora in questo periodo di crisi economica e scarsità di posti di lavoro. Sarebbe importante anche studiare soluzione di housing sociale, più case con affitto calmierato, che permettano a queste donne di lasciare il tetto domestico, altrimenti alcuni casi rischiano di restare senza soluzione”.
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LA TESTIMONIANZA DI UNA VITTIMA CHE HA AVUTO IL CORAGGIO DI CHIAMARE TELEFONO DONNA LECCO

Dopo la separazione dal padre di mio figlio ho attraversato un momento difficile, dovuto anche all’aver subito in concomitanza un lutto familiare. Ho conosciuto un ragazzo più giovane di me di qualche anno con un passato turbolento, ma, a detta sua, tanta voglia di ricominciare. Siamo andati a vivere insieme dopo poco tempo e io ho trovato un posto di lavoro che mi permetteva di avere una buona entrata economica. I primi mesi di convivenza sono stati abbastanza sereni, ma la situazione è andata via via peggiorando.

Ho colto subito i segnali che qualcosa non andava, ma ero convinta che dipendesse da me, dalla mia incapacità di comportarmi bene, e soprattutto non volevo tonare sui miei passi per non dover confessare alla mia famiglia di avere sbagliato nuovamente compagno. Nonostante il mio stipendio fosse buono, intorno alle 1500 euro mensili, io non avevo facoltà di gestire i miei soldi, dovevo consegnare a lui l’intera busta paga perché sosteneva non fossi capace di fare spese oculate. Io lavoravo fuori casa, mentre lui era disoccupato, salvo il tentare di fare alcuni lavoretti di grafica al pc per conto di alcune istituzioni che, nella pratica, svolgevo io al suo posto nelle ore notturne. Non ricevevo alcun aiuto domestico, nonostante fossi fuori casa per la maggior parte del tempo, un giorno l’ho esortato a svolgere qualche faccenda, almeno a preparare la cena, e da lì sono iniziate le violenze fisiche.

La situazione è andata peggiorando, una volta, tornata dal lavoro, ho pulito il pavimento, lui stava fumando una sigaretta e ha buttato la cenere per terra, io mi sono lamentata, lui mi ha picchiata e, poi, mi ha chiusa nel bagno di casa per qualche ora togliendomi il telefono e intimandomi che se avessi chiesto aiuto a voce mi avrebbe picchiata di nuovo. Uscita dal bagno lui è tonato gentile e io sono andata a letto. I miei segni sul corpo iniziavano ad essere evidenti e la mia preoccupazione principale era quella di coprirli con il trucco per evitare che qualcuno li notasse.

La violenza fisica è cresciuta fino a sfociare in una aggressione con un coltello. Una sera, dopo una discussione, è uscito di casa, è rientrato dopo pochi minuti sorridendo, è andato in cucina e ha preso un coltello. A quel punto ha impostato il timer sul suo telefono con un conto alla rovescia di tre minuti e mi ha detto che quando fosse arrivato sullo zero mi avrebbe uccisa. Stava in piedi di fronte a me puntandomi il coltello, dopo un minuto io sono scappata in camera da letto, ho chiuso la porta a chiave e ho spostato la cassettiera di fronte alla porta. Sono uscita a notte fonda e lui non c’era più, è tornato a casa dopo tre giorni. Il terzo giorno ho ingerito appositamente un quantitativo elevato di un farmaco, ho chiamato mia madre e sono stata portata d’urgenza al pronto soccorso di Merate, dove ho ricevuto le cure per l’overdose da farmaco e successivamente ho avuto un colloquio con lo psichiatra il quale è riuscito a farmi raccontare la mia storia e mi ha inviata a “Telefono Donna Lecco” dove ho iniziato un percorso di terapia con la loro psicologa di riferimento.

Nell’anno e mezzo di convivenza ho perso 30 kg di peso e fatto numerosi accessi in pronto soccorso e ho perso il lavoro. Non ho mai raccontato nulla per un senso di vergogna, di colpa e soprattutto di paura, non sono mai stata intenzionata a lasciare il mio compagno convinta che potessi gestire meglio la situazione avendolo vicino, ho scusato tutte le sue azioni e ho creduto che le cose andassero in un certo modo per la mia incapacità di comportarmi nel modo corretto. Il percorso di terapia è stato lungo e difficile, ma efficace e mi ha portato a riflettere su quali e quanti retaggi culturali e familiari, apparentemente innocui, creino l’habitat ideale per il nascere di violenze domestiche.