Insubria: condanne per tutti i presunti affiliati al clan

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    CALOLZIO – Si è concluso con la condanna per tutti e 37 gli imputati, quindici residenti nel lecchese, il processo con rito abbreviato nato dall’operazione “Insubria” che, secondo le indagini, avrebbe fatto luce sulla presenza di locali dell’ndragheta a Calolziocorte e nel comasco, per la precisione a Fino Mornasco e a Cermenate.

    Un’inchiesta, quella condotta dalla direzione distrettuale antimafia di Milano, che era finita anche sulla cronaca nazionale per l’incredibile video che, secondo l’accusa, dimostrerebbe il giuramento compiuto dai nuovi affiliati all’associazione mafiosa che per la prima volta le forze dell’ordine erano riusciti a filmare.

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    Giuramenti che sarebbero avvenuti nel casotto in campagna, a Castello Brianza, proprietà della famiglia Panuccio di Dolzago interessata da tre arresti: in carcere è finito il figlio Albano, condannato martedì a quattro anni e 8 mesi di carcere così come suo zio Antonio, 57 anni; il padre, Michelangelo Panuccio , 61enne al quale erano stati concessi i domiciliari, è venuto a mancare nelle scorse settimane.

    Per tutti gli imputati, accusati di associazione a delinquere di stampo mafioso,  condanne praticamente dimezzate quelle decise martedì dal Tribunale di Milano rispetto a quanto auspicato dalla pubblica, dai 9 ai 20 anni di carcere la richiesta che il 5 maggio scorso avevano avanzato i pm.

    GIURO NDRANGHETA

    La condanna più severa richiesta nei confronti degli imputati lecchesi era stata avanzata per Giovanni Marinaro, 54 anni di Calolzio, per il quale i pubblici ministeri avevano chiesto 14 anni di carcere e che è stata invece ridotta dal giudice a 2 anni e 8 mesi in continuazione. Marinaro era già stato condannato per associazione mafiosa e spaccio di droga ai tempi dell’inchiesta Wall Street.

    E’ invece di cinque anni e quattro mesi la condanna inferta ad Antonio Mercuri, residente ad Airuno e ritenuto dagli inquirenti a capo del locale dell’ndrangheta di Calolzio. Sei anni per Antonio Mandaglio, per gli investigatori il numero “due” della presunta associazione mafiosa che aveva trovato spazio nel calolziese.