“Catalogo delle single”, al processo chiesta l’esclusione di Telefono Donna

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Le rappresentanti di Telefono Donna Lecco insieme alla consigliera Ventura e all'avvocato Marraffino

Ripreso il processo sul contestato catalogo che raccoglieva i profili di donne single lecchesi

Parti civili, la difesa chiede di escludere Telefono Donna e la Consigliera delle Pari Opportunità

LECCO – La lesione della reputazione e della privacy di una donna posso considerarsi parte di un più ampio concetto di discriminazione e violenza di genere? E’ questo il primo significativo interrogativo posto al processo per il cosiddetto ‘Catalogo delle donne single’, ripreso lunedì mattina al tribunale di Lecco.

Un caso giudiziario inedito, nato all’epoca dei social network, che per la prima volta vede una class action rivolgersi alla magistratura contro chi avrebbe attinto informazioni dai propri profili Facebook per realizzare uno schedario di ‘nubili’, messo in vendita in rete alla mercé degli interessati (leggi qui).

Il Catalogo delle Donne Single, messo in vendita in rete e poi ritirato

E’ stato l’avvocato Stefano Pelizzari, difensore di Antonio Nicola Marongelli (autore del contestato catalogo), a porre la questione al giudice Maria Chiara Arrighi, chiedendo l’esclusione dall’elenco delle parti civili dell’associazione Telefono Donna Lecco e della Consigliera per le Pari opportunità, Adriana Ventura.

“I requisiti prevedono che l’ente contempli nel proprio statuto, in modo prevalente, la tutela dell’interesse leso dal reato oggetto del processo e che si sia attivato in modo concreto in epoca antecedente alla contestazione del reato – ha spiegato l’avvocato Pelizzari – Telefono Donna si occupa dell’assistenza alle donne che subiscono violenza, qualcosa di diverso dalla tutela della reputazione e riservatezza della persona. Nella richiesta si vorrebbe estendere questo ad un concetto di nuova violenza di genere, ma in ambito legale ci si deve attenere strettamente alle definizioni date dalla legge”.

“Inoltre – ha proseguito il legale – l’associazione non ha dato prova della propria attività antecedente al reato, probabile che non si sia mai attivata nella difesa della reputazione delle donne, perché non è questo lo scopo dell’ente”.

Analogamente Pelizzari ha chiesto l’esclusione anche della Consigliera per le Pari opportunità della Provincia di Lecco: “Verrebbe applicato in modo estensivo il concetto di violenza di genere e discriminazione, qualcosa di diverso da quanto oggetto di questo processo”.

L’avvocato ha ricordato anche il fatto che solo 8 donne su 26 parti lese hanno scelto di costituirsi parte civile.

L’avvocato Marisa Marraffino

“Telefono Donna si è sempre impegnata in difesa della dignità e della parità delle donne, ciò rientra in pieno nello statuto dell’associazione e non c’è processo più di questo che abbia mai trattato in modo così evidente la dignità delle donne nei social network – ha risposto l’avvocato Marisa Marraffino, rappresentante legale delle denuncianti ed esperta di reati informatici – la legittimazione dell’associazione non può essere messa in dubbio, ha una lunga storia alle spalle”.

Riguardo alla Consigliera delle pari opportunità “è una figura giuridica che si pone a contrasto delle discriminazioni di genere e quindi anche degli stereotipi di genere, l’esposizione delle donne è oggetto di questo processo”.

Spetterà al giudice la decisione che sarà comunicata nella prossima udienza del 4 ottobre, alle ore 11. Il magistrato dovrà scegliere anche se autorizzare le riprese televisive della trasmissione di Rai 3 “Un giorno in Pretura” interessata al caso.

Nessun obiezione su questo dall’avvocato Marraffino e dal pubblico ministero Mattia Marasco, si è invece opposto alle riprese l’imputato attraverso il suo legale.

All’uscita dall’aula, l’associazione Telefono Donna ha voluto ribadire l’importanza della loro presenza al processo: “Ci occupiamo dal 1988 della violenza e del maltrattamento delle donne ma implicitamente anche della dignità e dell’emancipazione delle donne in una società ancora molto maschilista” ha sottolineato il vice presidente dell’associazione, Aldina Orsati.

Adriana Ventura, Consigliera Pari Opportunità

La parità comincia dalla non mercificazione dell’immagine femminile, cosa che avviene molto spesso nella comunicazione e nei media – ha sottolineato la consigliera Adriana Ventura – vendere il mio profilo Facebook, non solo viola la mia dignità ma mette in commercio la ma immagine. E’ il primo caso in Italia e potremmo a fare scuola, se fossimo ammessi come parte civile creeremo un precedente significativo che accrescerebbe il valore di questa battaglia a difesa della dignità della donna”.