Il primario di Lecco racconta la rianimazione a La7: “Una giornata lunga tre settimane”

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50/60 pazienti al giorno covid, triplicati i posti in rianimazione

“Situazione in crescita sia come gravità sia come flussi in ospedale”

LECCO – “Una giornata lunga tre settimane che non finisce mai”. Il direttore di Anestesia e Rianimazione dell’ospedale di Lecco Mario Tavola, affiancato dalla coordinatrice infermieristica Clara Ripamonti, ha raccontato in un’intervista al programma Tagadà su  La7 l’impegno smisurato di medici, infermieri e sanitari che da settimane, ininterrottamente, anche a Lecco stanno combattendo contro il coronavirus.

“Nel reparto l’attività è frenetica, i pazienti sono gravi, la situazione è in crescita sia come gravità sia come flussi in ospedale. Stiamo cercando di curare tutti, stiamo cercando di dare ai nostri pazienti tutto quello che abbiamo. Nel nostro ospedale, che ha circa 500 posti letto, arrivano 50/60 pazienti covid al giorno. Nei due presidi dell’azienda (Lecco e Merate, ndr) ci sono circa 500 pazienti ricoverati covid, gli ospedali sono stati tutti ristrutturati e praticamente tutti i reparti si stanno dedicando a questi pazienti. Abbiamo triplicato i posti letto in rianimazione, da 14 a 45, e abbiamo pazienti gestiti come terapia intensiva anche nelle sale operatorie. L’attività è davvero frenetica, è una giornata che è cominciata tre settimane fa e non è ancora finita“.

Quindi è stato chiesto al primario se, all’inizio, aveva capito che sarebbe stata così dura: “Assolutamente no, nessuno di noi si aspettava una cosa simile. Abbiamo rincorso anche dal punto di vista organizzativo e oso sfidare chiunque possa dire oggi ‘io lo sapevo’, nessuno se lo aspettava”.

“Il rapporto con i parenti e con i famigliari che restano a casa è uno dei problemi che abbiamo sollevato subito e abbiamo cercato di affrontare: per i pazienti abbiamo messo a disposizione il gruppo dei palliativisti e psicologi ma contemporaneamente i colloqui con i famigliari, che purtroppo possiamo fare solo telefonicamente a distanza, li facciamo a tre voci: il clinico che comunica le condizioni, lo psicologo che fa la parte di supporto e nei casi in cui non possiamo più curare anche il palliativista cerca di mantenere il rapporto con i famigliari”.

E poi una conclusione amara: è stato chiesto al dottor Tavola se vede la luce in fondo al tunnel: “Purtroppo per ora non vedo nemmeno l’imbrunire, ne potremo riparlare…”.