Parla un soccorritore: “Quella maschera ci difende dal virus ma non dalle lacrime”

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La fragilità di chi sta in prima linea, la storia raccontata da un volontario del soccorso

“Per colpa del Covid ho dovuto separare marito e moglie dopo 53 anni di matrimonio”

LECCO – “Mentre scrivo questa esperienza che mi ha visto coinvolto durante un servizio, mi sento diviso tra il diritto e il dovere che ho di farlo: mi sento in dovere di raccontare e trasmettere il dolore profondo delle persone che improvvisamente si vedono portar via un proprio caro, senza sapere se e quando lo rivedrà. Mi sento in dovere di raccontare le emozioni di noi volontari, mie e dei miei colleghi, quando assistiamo impotenti alla separazione”.

Inizia così il racconto di un giovane lecchese, soccorritore volontario, soldato di un esercito impegnato nella lotta al Coronavirus. Una voce che da un lato racconta l’immensa forza e la dedizione dei volontari, dall’altro l’inevitabile senso di fragilità di fronte a situazioni davvero difficili.

“Sono in servizio di notte quando arriva la chiamata per un ‘sospetto caso di Covid 19’. Iniziamo a vestirci, tra colleghi ci aiutiamo a ‘sigillare’ tutte le parti del nostro corpo che la tuta non riesce a coprire, cerchiamo di chiudere qualsiasi possibilità di passaggio di aria ed entriamo nel nostro mondo ovattato. Arriviamo sul posto, la paziente è una donna di oltre 70 anni, affetta da tempo da Alzheimer, ci spiega il marito: è lui che se ne è preso cura fino ad ora. Sempre lui ha chiamato il 112: ‘Mia moglie sta male, ha i sintomi di quel ‘coso lì’, come lo chiama lui, ‘il Coronavirus’. E’ agitato, in preda al panico: in parte credo sia colpa del nostro aspetto, la tuta copre tutto, si vedono solo gli occhi di uno sconosciuto; in parte per il peso della scelta che dovrà fare, se fare ricoverare o meno la moglie. C’è un consulto con il figlio, poi con il medico di centrale Areu. Il signore acconsente al ricovero, la realtà è che non può più prendersi cura della moglie malata. Quando  gli ricordiamo che non può venire in ospedale con noi crolla”.

“Mentre usciamo dalla camera ci guarda, è disorientato, confuso, probabilmente non ha ancora realizzato ciò che sta succedendo. Poco dopo scoppia in lacrime e si getta sulla moglie, accarezzandola. E’ in ginocchio, e io sono lì accanto. In quel momento il signore mi afferra per una gamba e mi dice che quello era il loro 53° anniversario di matrimonio. A quel punto, crollo anche io. Cerco di trattenere tutto mentre guardo quell’uomo, ma in pochi attimi il mio sorriso di compassione, celato dietro le protezioni, si trasforma in un pianto nascosto. Scendiamo le scale, ho gli occhiali appannati dalle lacrime. Carichiamo la barella in ambulanza, alzo gli occhi e dal finestrino vedo il signore: realizzo che, in quel momento, sono colui che sta separando, forse definitivamente, due persone che hanno vissuto insieme per 53 anni. Mi sento l’artefice di un lavoro quasi sporco, per quanto necessario”.

“Voglio raccontarlo perché sui social non si leggano solamente numeri e statistiche, perché non si parli solo di previsioni future ma anche di emozioni presenti. Di un presente di cui è necessario trasmettere il patrimonio emotivo, il ‘dietro le quinte’, la realtà dei fatti. Con l’augurio e con la speranza che da questa emergenza non si esca soltanto vincitori dal punto di vista ‘epidemiologico’ ma anche dal punto di vista umano”.

“Il mio pensiero va allora a tutti coloro che si stanno impegnando, con sacrificio, per alleviare il dolore delle persone, in particolare le persone più anziane, a tutti i volontari delle associazioni di soccorso e ai professionisti che quotidianamente, negli ospedali e sul territorio, devono fare fronte a una guerra psicologica e di strategia e che da questa esperienza ne usciranno allo stesso tempo logorati e ‘corazzati’. Infine, ma non per ultimo, un pensiero a tutti coloro che hanno perso i propri cari, costretti a ‘improvvisare’ un addio in una manciata di secondi”.