Metastasi, “Rusconi favorì Palermo per motivi politici-elettorali”

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Ernesto Palermo, Marco Rusconi

 

Ernesto Palermo, Marco Rusconi
Ernesto Palermo, Marco Rusconi

 

LECCO – L’ex sindaco di Valmadrera Marco Rusconi ha favorito Ernesto Palermo per motivi politici-elettorali. Così i giudici del collegio giudicante del Tribunale di Lecco hanno motivato la sentenza di condanna emessa proprio tre mesi fa, il 1 marzo, nei confronti del valmadrerese Marco Rusconi, uno dei 17 imputati finiti a processo a seguito dell’inchiesta denominata “Metastasi”, condotta dalla Dda di Milano e avente oggetto le infiltrazioni mafiosi nel territorio lecchese.

 

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LA SENTENZA – 2 anni di reclusione e una multa di 1.000 euro la pena per l’ex sindaco di Valmadrera, riconosciuto colpevole del reato di turbativa d’asta in relazione alla vicenda del pratone di Parè, che tra gli altri protagonisti aveva visto l’ex consigliere comunale lecchese Ernesto Palermo (condannato a 6 anni e 8 mesi di reclusione), Antonello Redaelli (condannato a 10 anni e riconosciuto appartenente all’associazione mafiosa contestata) e Saverio Lilliu (2 anni).

LE MOTIVAZIONI – 253 le pagine di motivazioni depositate nei giorni scorsi presso il Tribunale di Lecco e rese note ieri, mercoledì 1 giugno, a 90 giorni esatti dalla pronuncia delle sentenze di condanna nei confronti degli imputati, la più pesante delle quali verso Mario Trovato, indicato quale vero e proprio boss dell’associazione mafiosa e per questo condannato a 12 anni e 6 mesi di reclusione.

Consistente il capitolo riservato alle motivazioni della sentenza nei confronti di Marco Rusconi: dopo una prima parte riepilogativa dell’intera vicenda “Lido di Parè” i giudici sono entrati nel merito delle colpe dell’ex sindaco, condannato unicamente per la turbativa d’asta relativa al bando di gara per la concessione dell’area alla società Lido di Parè Srl di Redaelli Antonello e Lilliu Saverio.

Caduta invece l’accusa di corruzione, come spiegato: “Non vi è prova certa dell’esistenza di un accordo corruttivo e/o della dazione di una somma di denaro o di altre utilità da parte di Palermo o degli altri coimputati a favore di Rusconi Marco in cambio dei favori ricevuti nel procedimento di aggiudicazione della gestione del lido di Parè”.

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L’area di Parè a Valmadrera

L’APPOGGIO A PALERMO PER MOTIVI “POLITICI ELETTORALI” – “Rusconi Marco – si legge invece per quanto riguarda la turbativa – ha favorito Palermo Ernesto per motivi politici-elettorali, cioè per avvantaggiare Palermo, un suo compagno di partito e, per mezzo di Palermo, tutelare i suoi interessi elettorali”. Questo, come spiegato, per mantenere fede alla promessa fatta durante la campagna elettorale: “Egli aveva infatti promesso agli elettori che il Lido di Parè sarebbe stato destinato in particolar modo alle famiglie e ad una fruizione soprattutto diurna, a differenza di quanto era avvenuto con le precedenti gestioni da parte della Pareo s.n.c. della famiglia Bugatti, durante le quali vi erano state numerose critiche per gli schiamazzi notturni e per il parcheggio incontrollato delle autovetture dei clienti del lido” e ancora “(…)tramite Palermo, Rusconi sperava di indirizzare la gestione del lido in modo da soddisfare le esigenze diurne delle famiglie e così adempiere le sue promesse elettorali ed appagare l’opinione pubblica locale”.

All’ex sindaco è stato inoltre contestato il fatto di aver “fornito informazioni privilegiate sul bando, sul contenuto tecnico ed economico che avrebbe dovuto avere l’offerta della Lido di Parè srl per vincere la gara” e di “aver consigliato il passaggio societario da Lilliu alla consorte”, dopo che il casellario giudiziario pervenuto aveva segnalato l’esistenza di precedenti penali per Saverio Lilliu. Una circostanza che preoccupava Rusconi, come spiegato, spingendolo a confidarsi al telefono anche con il sindaco di Lecco, Virginio Brivio (“Il problema è quella roba lì, che… che ti ho detto anche l’altra volta, cioè il fatto di avergli suggerito noi la modifica, eccetera). Nella motivazione dei giudici si evidenzia come “nessun interesse aveva Rusconi a confessare prima al sindaco Virginio Brivio di aver fatto qualcosa di illecito che in realtà non aveva compiuto”.

In sostanza, annotano in conclusione i giudici, il comportamento di Rusconi ha ostacolato il principio della libera concorrenza: “Il suo comportamento ha provocato la lesione del principio della libera concorrenza, che la norma intende tutelare a garanzia degli interessi della pubblica amministrazione (…)se non fosse nel frattempo intervenuto il certificato antimafia atipico la concessione sarebbe stata definitivamente aggiudicata ad una società espressione dell’associazione Ndranghetistica. Non si è trattato, quindi, di un pericolo esiguo”.

L’ASSOCIAZIONE MAFIOSA E IL RUOLO DI TROVATO – Preciso e accurato il quadro dell’associazione mafiosa tracciato dai giudici. Il principale capo d’imputazione era stato riconosciuto nei confronti di Mario Trovato – indicato come “capo indiscusso del gruppo” – Antonello Redaelli, Antonino Romeo e Massimo Nasatti, protagonisti di diversi episodi, “tutti comprovanti l’esistenza dell’associazione, perlomeno per quanto riguarda la finalità di controllo di attività economiche”.

Estorsione, corruzione, prevaricazione, uso della forza intimidatoria, controllo del territorio sono alcuni degli elementi riconosciuti come “tipici” delle associazioni mafiose e ritrovati nei diversi casi esaminati e discussi durante il processo (tra cui estorsione Conti-Scaldò e Old Wild West): “Alla luce delle prove e delle argomentazioni esposte circa la sussistenza di tali reali – annotano i giudici – risulta completato il quadro dell’esistenza e dell’operatività dell’associazione”.

Non solo, si legge oltre: l’influenza e l’operosità del gruppo criminale era tale da spingere persino un curatore fallimentare (cioè un ausiliario di un Giudice) a servirsi delle prestazioni di Trovato per recuperare una somma di denaro di cui era rimasto creditore: “Al di là del merito – scrivono i giudici – è sconcertante rilevare che il servizio del gruppo criminale, basato sulla intimidazione, veniva considerato perfino da un pubblico ufficiale come il mezzo più efficace per riscuotere dei crediti”.

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Mario Trovato

A dimostrazione della storica presenza e predominanza della famiglia Trovato in città vi è per i giudici il fatto che nessun altro gruppo abbia avanzato pretese o richieste analoghe a quelle operate dagli affiliati.

Indubbio infine il ruolo di “Boss” assunto da Mario Trovato, condannato pertanto a una pena di 12 anni e 6 mesi di reclusione oltre che a 11mila e 500 euro di multa. Nitido e sintetico il quadro tracciati dal giudice Enrico Manzi, presidente del collegio giudicante ed estensore delle motivazioni: “Mario è il capo di una qualche organizzazione mafiosa e il suo vero “business”, ovviamente condotto con metodo mafioso, è la gestione dei locali pubblici. È rispettato, in fondo ben voluto, vive con risorse di incerta provenienza, non certo riconducibili alla pizzeria in cui lavora come “tutto fare”, rende favori, protegge, aiuta. È una ‘autorità’ nel territorio… in poche parole: Lecco è sua!

IL COMMENTO – Brivio sapeva che Rusconi stava facendo qualcosa di illecito“. Arriva dall’associazione Qui Lecco Libera il primo commento sulle motivazioni della sentenza Metastasi depositata mercoledì dal Tribunale di Lecco.

Il sindaco Virginio Brivio
Virginio Brivio

L’affermazione riguarda il passaggio della motivazione in cui i giudici indicano l’ex sindaco di Valmadrera quale ideatore del cambio di intestazione della Lido di Parè da Saverio Lilliu alla compagna, fatto di cui, come spiegato, Rusconi stesso era preoccupato in caso di liti giudiziarie: “Quel “qualcosa” – prosegue il comunicato inviato da Qui Lecco Libera – era una strategica modifica societaria della Lido di Parè Srl suggerita da Rusconi per far uscire il presunto prestanome del “gruppo Trovato”, Salvatore Lilliu, che aveva scoperto tardivamente aver un casellario giudiziale inservibile, e sostituirlo strumentalmente con la compagna dello stesso, incensurata”.

Fatto di cui il sindaco di Lecco, col quale Rusconi si era prontamente confidato, era perfettamente a conoscenza, come continuano dall’associazione: “Brivio, da giorni, stava mediando (o “mitigando”) per un’eventuale accordo tra le parti per scongiurare le carte bollate (e i contenziosi derivanti)”.

L’appello finale è un gesto di responsabilità da parte del primo cittadino lecchese: “Non ci interessa il piano penale, si vedrà più avanti l’epilogo del filone della presunta falsa testimonianza di Brivio in aula, quanto il profilo politico, ormai innegabile – concludono – un gesto di responsabilità del sindaco di Lecco, a oltre due anni dagli arresti, è necessario. A meno che persino i magistrati di Lecco siano diventati ai suoi occhi “chierici del giustizialismo”.