Carletti dei Nomadi a Valmadrera per “C’era una volta il beat”

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VALMADRERA – Testimone d’eccezione per l’inaugurazione della rassegna “C’era una volta il beat” promossa dall’amministrazione comunale di Valmadrera e dedicata al ricordo della generazione beat. A dare il via al calendario d’eventi nella serata di martedì 24 settembre è stato Beppe Carletti, tastierista e fondatore dei Nomadi.

Un incontro, quello con il musicista emiliano, che ha permesso al pubblico presente in sala di conoscere un lato più riservato e personale di Carletti, non solo uomo del mondo dello spettacolo e artefice insieme ai suoi compagni della storia dei Nomadi, ma anche e soprattutto persona semplice e – per sua stessa ammissione – “provinciale, che è una definizione che mi piace tantissimo”. Accompagnato dagli interventi precisi e puntuali dello scrittore Paolo Gulisano, Carletti ha dato vita a un racconto pieno di ricordi e aneddoti legati soprattutto alla prima fase di carriera dei Nomadi, quella legata agli esordi del 1963 al Frankfurt Bar di Riccione e agli anni del beat, senza però trascurare altri aspetti dell’ormai cinquantennale carriera del gruppo di Novellara.

Grazie anche agli episodi descritti nel recente libro “Io Vagabondo. 50 anni di vita con i Nomadi”, Beppe Carletti ha trasportato gli spettatori tra le pieghe di una storia non solo musicale, ma anche sociale, culturale e di costume del nostro paese. Una storia, quella dei Nomadi, che non è partita con la rabbia tipica della prima generazione beat nata in Inghilterra: “noi cantavamo la nostra voglia di vivere – ha ricordato Carletti – dando sfogo alle emozioni di ragazzi poco più che sedicenni, che vedevano intorno a sé la tristezza che aveva lasciato la guerra, ma che allo stesso tempo percepivano l’arrivo di qualcosa di nuovo. Nelle nostre prime canzoni c’era forse un po’ di ribellione, ma non c’è mai stata rabbia”. Canzoni che in parte sono state anche video proiettate durante la serata e che ormai fanno parte del patrimonio culturale italiano: una carrellata di brani che ha reso felici i fans di ogni età, da Come potete giudicar a Noi non ci saremo, da Canzone per un’amica a Dio è morto, passando per brani più leggeri ma non meno importanti come Un giorno insieme, Tutto a posto, Io vagabondo e Gli aironi neri.

Nella chiacchierata con Gulisano, Beppe Carletti ha messo in luce quello che per lui hanno rappresentato questi cinquant’anni di musica e nomadismo, vissuti sempre con le radici ben piantate nella bassa padana, tra Novellara e Novi di Modena. “La musica mi ha dato tantissimo – ha ammesso Beppe a più riprese – mi ha permesso di visitare luoghi e paesi che mai avrei immaginato di vedere, ma soprattutto mi ha fatto incontrare persone speciali come Augusto Daolio, il nostro cantante scomparso nel 1992, e Francesco Guccini, uno dei massimi poeti contemporanei che abbiamo in Italia”.

Una storia quasi incredibile, quella dei Nomadi, che difficilmente potrà essere imitata o replicata: un gruppo che è rimasto sulla breccia per cinquant’anni, pur tra alti e bassi e nonostante le mille traversie occorse nel tempo, come la censura miope della Rai verso Dio è morto o Canzone per un’amica, l’indipendenza discografica quasi forzata negli anni ’80 (“ci sentivamo come dei sopravvissuti” ha scherzato Beppe), i lutti interni al gruppo (nel 1992 morirono in pochi mesi il leader Augusto Daolio e il bassista Dante Pergreffi) e i numerosi cambi di formazione. Una storia, però, che come ha detto Beppe non intende fermarsi e che è sopravvissuta alle mode e ad alcuni dei suoi stessi protagonisti. “Tutto questo è merito delle canzoni e del nostro pubblico – ha concluso Carletti – che anche nei momenti più difficili non ci ha mai abbandonato: il popolo nomade è stato il settimo elemento, fondamentale per dare continuità alla storia della band; oggi posso affermare che, come amava dire Augusto alla fine di ogni concerto, ‘è stato bellissimo’”.