Caleotto: esempio di rinascita, trova il suo posto sul mercato dell’acciaio

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LECCO – “In un anno la Caleotto ha fatto grossi progressi in termini qualitativi, è riuscita ad entrare sia sul mercato del medio alto carbonio, sia sul quello della bulloneria e relativamente anche in quello della saldatura, che rappresentano i tre mercati principali della fascia di media-alta qualità”.

A parlare è Augusto Lombardi, responsabile commerciale della Caleotto SpA, azienda sorta circa un anno fa dalle ceneri dell’ex Lucchini di Lecco, acquistata a fine 2014 dai gruppi Duferco e Feralpi, che hanno riacceso il laminatoio del Caleotto con un nuovo progetto industriale (vedi articolo).

Augusto Lombardi, responsabile commerciale Caleotto
Augusto Lombardi, responsabile commerciale Caleotto

Oltre 5 milioni di euro di investimento previsti in cinque anni, fino al 2019, tutta forza lavoro dell’ex Lucchini riassunta e la produzione concentrata a Lecco, sostenuta dagli impianti siderurgici dei rispettivi gruppi a San Zeno (Duferco) e Calvisano (Feralpi). L’impianto ha riaperto a giugno dello scorso anno, dopo il via libera da parte dell’antistrust. Uno dei pochi esempi in Italia di rinascita industriale di un sito, quello dell’ex Lucchini, che sembrava destinato a chiudere definitivamente.

“Per i due gruppi, l’acquisizione dell’impianto di Lecco ha significato risolvere il problema dell’eccesso di acciaio prodotto nelle rispettive acciaierie, dedicate a prodotti di più bassa qualità ( rispettivamente travi e tondo per cemento armato). Si tratta di acciaio liquido in billette. Utilizzarlo su marche di un acciaio più sofisticato, in un mercato non in competizione con quello dei due soci, voleva dire mettere sul mercato un certo volume di acciaio che altrimenti non avrebbe trovato sbocco – ha spiegato Lombardi – La Caleotto è stato un investimento nato da un’esigenza industriale e risolta in maniera egregia a livello commerciale con prodotti di qualità più alta, impiegando una manodopera locale”.

caleotto_41Sono un’ottantina oggi i lavoratori dello stabilimento dell’Arlenico, distribuiti su due turni per cinque giorni alla settimana. “Oggi produzione si aggira tra le 15 e le 20 mila tonnellate al mese, riusciamo a venderla sul mercato italiano ed anche esportarla. Al momento basta. Se avremo risultati migliori in qualità e quindi a proporre sul mercato maggiori volumi, vorrebbe dire aggiungere un terzo turno e quindi tornare ad assumere”.