Dopo la crisi. L’artigianato oggi alza la testa e guarda al futuro

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Daniele Riva, presidente di Confartigianato Lecco

 

LECCO – Sono stati anni difficili per gli artigiani lecchesi:  imprese di medio piccole dimensioni, spesso guidate dal solo titolare o composte da pochi dipendenti, hanno dovuto fare i conti più di altri con la crisi. Oggi il sole sembra finalmente rispuntare e nuove opportunità di sviluppo si affacciano all’orizzonte. Ne abbiamo parlato con Daniele Riva, presidente di Confartigianato Lecco.

L’artigianato più di altri comparti ha faticato per emergere dalla crisi di questi ultimi anni? Perché queste sofferenze? Quali settori hanno subito maggiormente il difficile periodo economico? Quale la situazione oggi?
“Una delle spiegazioni delle difficoltà vissute in questi anni è legata al fatto che tante delle aziende artigiane lavorano in filiera con le industrie e queste ultime, con la crisi, hanno internalizzato alcune lavorazioni. Una scelta che ha tagliato le gambe a molti artigiani del comparto manifatturiero, ricordo che nel settore dei macchinari c’è chi ha avuto fino al 90% in meno del fatturato. Dopo aver portato all’interno certi processi produttivi, ora l’impresa ci pensa due volte prima di riportarli all’esterno. Gli artigiani dell’edilizia sono ancora dentro la crisi, arrivata più tardi rispetto al metalmeccanico, e la situazione è ancora sotto gli occhi di tutti. Oggi si fanno ristrutturazioni o restauri, nient’altro e nel frattempo tante aziende, anche di una o più persone, hanno chiuso. Nell’ultimo anno e mezzo nel manifatturiero il lavoro è tornato costante, ma è chiaro che sono cambiati i tempi, si sono accorciati, le risposte oggi devono essere immediate, serve una maggiore flessibilità se si vuole competere, non si può più attendere un mese per la consegna dei prodotti”.

La crisi ha cambiato il modo di lavorare anche degli artigiani. Farà lo stesso Industria 4.0 ?
“Negli ultimi due anni si parla molto della digitalizzazione delle imprese, per alcuni una parola magica, altri la ignorano pensando non sia utile non proprio ambito, invece è un’occasione straordinaria. Oggi che il lavoro c’è, è il momento di fermarsi e capire quali sono le necessità dell’impresa e puntare ad un salto di qualità. Industria 4.0 serve anche alla piccola impresa, e forse più che alle grandi realtà, perché, grazie alle agevolazioni,  le consente di fare degli investimenti e strutturarsi. Anche l’approccio agli investimenti è cambiato: fino a dieci anni fa se dovevi realizzare un lavoro e non avevi la macchina adatta la compravi, pensando che forse l’avresti usata per altre lavorazioni. Oggi il forse non esiste, l’investimento va studiato, sapendo che con determinati macchinari si può aumentare e variare la produzione, evitare ore di lavoro straordinarie. Una pianificazione serve ed uno dei pochi vantaggi della crisi è quello di aver reso più puntuale l’imprenditore nelle sue scelte”.

Burocrazia. Si migliora o non è cambiato nulla? E dal punto di vista del fisco?
“Sempre peggio. Anche il privato cittadino che deve aprire un conto corrente si rende conto di quanti documenti deve firmare. La burocrazia sta complicando ulteriormente le cose anziché semplificarle. Anche riguardo alle tasse la situazione non è positiva, siamo ad un livello insopportabile. Si lavora 10 per pagare sette al fisco e guadagnare tre. Credo comunque sia un’utopia portare la tassazione al 25% per tutti,  nelle condizioni in cui siamo. Confartigianato ha portato avanti diverse battaglie sul fronte della tassazione”.

 

Il Welfare aziendale è una delle novità che incide sul costo del lavoro e che la vostra associazione sostiene. Perché l’impresa oggi è sempre più “sociale” ?
“Il welfare rappresenta la chiave di volta del rapporto con i collaboratori che sono il vero patrimonio dell’azienda artigiana, oltre alle macchine e al capannone. Si cambia il paradigma nei confronti del dipendente con una premialità che l’azienda può mettere sul tavolo e che costa quanto il costo del lavoratore, offrendo opportunità di servizi per i suoi dipendenti e le loro famiglie. Si crea un legame tra impresa e lavoratori”.

Parlando di lavoratori, quindi di occupazione nelle imprese artigiane, crede ci potranno essere maggiori assunzioni di personale nei prossimi mesi dell’anno?
“C’è una forte prudenza. Una delle difficoltà psicologiche vissute dai datori di lavoro è stato proprio nel rapporto con i propri dipendenti, persone che lavoravano in azienda da dieci, vent’anni e che hanno rischiato o sono state lasciate a casa per mancanza di lavoro. Decisioni che hanno toccato l’imprenditore sia dal punto di vista umano, conoscendo bene i propri dipendenti e spesso anche la loro situazione familiare, che sul piano professionale, perdendo competenze frutto di anni di formazione. Anche la cassa integrazione è stata gestita in questi anni cercando di far perdere meno ore possibili ai propri dipendenti. Sulla scorta di questa esperienza c’è timore nel portare a casa altri lavoratori, anche perché si tratta di piccole aziende, dove un dipendente in più conta molto in organico. Ma guadando i dati sull’artigiano, positivi già da mesi, credo ci possano essere ricadute occupazionali”.

Ci sarà spazio per i giovani? I giovani seguono le orme dei padri o lasciano l’attività per fare altro? L’apprendistato può essere ancora lo strumento migliore per introdurre in modo stabile i giovani nel mondo del lavoro?
“I tempi sono sicuramente cambiati, non sempre è automatico che il figlio o figlia segua il mestiere del padre. A volte sono gli stessi genitori a scoraggiarli, indirizzandoli verso le università. Eppure non possono esserci solo colletti bianchi e le nuove generazioni stanno riscoprendo i mestieri artigiani quanto l’agricoltura. Il meccanismo deve però partire dalle scuole, anche nel lecchese sono in atto sperimentazioni di alternanza ma che sono molto lontane da quello che è il modello duale della Germania. E’ tutto un sistema che deve rimettersi in gioco a partire dalla famiglia, capace di condizionare e guidare il ragazzo nella sua scelta, e se un giovane non ha attitudine per lo studio può intraprendere una scuola professionale, ci sono fresatori e tornitori che prendono anche più di un dirigente. Non è un lavoro penalizzante, sopratutto oggi che ci sono macchine molto evolute, dove servono competenze e non sono più lavori ‘spochi’ come potevano essere in passato”.

Che ruolo hanno le donne nell’artigianato lecchese?
“Spesso sono imprenditrici, oppure al fianco dell’imprenditore, molte aziende vedono al comando marito e moglie. Rispetto all’uomo, le donne hanno una marcia in più in certi aspetti del lavoro in azienda, sono valore aggiunto delle imprese”.

E Confartigianato che ruolo ha avuto in questi anni per i propri associati? Quali obiettivi raggiunti e quali quelli da raggiungere in futuro?
“Abbiamo affiancato le imprese negli anni bui. Il nostro motto è ‘viaggiamo al fianco delle imprese ma senza correre troppo e nemmeno restando indietro’. Oggi, rispetto agli anni di crisi, c’è una prospettiva è nuova, proseguiamo con una riorganizzazione interna perché la stessa associazione recepisce stimoli nuovi dai bisogni delle imprese. La vicinanza all’azienda si crea andando in azienda. I nostri collaboratori hanno cambiato modo di operare, hanno riconvertito anche il loro lavoro, entrano nelle imprese e colgono le dinamiche della gestione, capiscono punti di forza e criticità. Nel correre tutti i giorni, a volte gli imprenditori non si accorgono di soluzioni per migliorarsi, perché a volte non hanno il tempo di fermarsi e riflettere. Forniamo diversi servizi di consulenza, che completano quelli di contabilità, la gestione della parte web, la parte commerciale con l’ufficio estero e anche l’ufficio Italia. Vogliamo essere sempre più propositivi per stimolare l’imprenditore a fare sempre meglio”.