Economia: uno studio di Confapi spiega perchè si parla di ripresa

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Assemblea Annuale Giovani Imprenditori lecco 14 maggio 2008 , presidente oriano lanfranconiLECCO – Una ripresa timida, così tanto timida che quasi non si fa vedere, eppure qualcosa si sta muovendo. Il Centro Studi Giovani Imprenditori Confapi in collaborazione con REF Ricerche ha presentato un’indagine per rispondere ad alcune domande inerenti la situazione economica attuale e quindi capire quanta capacità produttiva è andata perduta, quanti fallimenti o delocalizzazioni ci sono state, quante realtà produttive soffrono per il calo della domanda ma sono pronte a riprendere e, infine, quante sono le imprese che, nonostante la crisi, sono andate comunque bene e che guardano al 2014 con rosse aspettative di crescita.

“L’economia italiana è in ripresa dal quarto trimestre dell’anno scorso, ma ancora tanti ne dubitano – spiega Oriano Lanfranconi, presidente del Gruppo Giovani Imprenditori di Confapi – in altre parole, molti non se ne sono accorti. Ciò significa che il dato medio, ricordiamo che ripresa, come recessione, sono concetti che riguardano la macroeconomia, ossia come in media si muove l’economia nasconde un’elevata varianza: solo alcuni sono in ripresa, altri stanno ancora peggiorando o semplicemente sopravvivono. Se in cinque anni abbiamo perso il 10% del Pil, il 25% della produzione industriale, e un milione di occupati, un check-up della situazione odierna è indispensabile, soprattutto per capire se, quando e come si torna a crescere”.

Secondo i dati di Unioncamere nel 2013 le aperture delle imprese hanno superato le chiusure di 12.681 unità, in particolare nel commercio, turismo e servizi alle imprese, mentre continuano a calare costruzioni e trasporti. Nel 2013 sono infatti nate 384.483 imprese: sono circa 600 in più rispetto al 2012, ma 1.029 in meno rispetto al 2009. Il tasso di crescita, pari allo 0,2% nel 2013, è inferiore sia al 2012 (0,3%), che al 2011 (0,8%), e molto lontano dai valori del 2010 (11,9%).

Per quanto riguarda le cessazioni, continua il trend in crescita dal 2010 (da 338.206 a 371.802), con 3.675 cessazioni in più rispetto al 2009. Il saldo tra iscrizioni e cessazioni continua a rimanere positivo, 12.681 unità in più. La crisi dell’imprenditoria italiana ha colpito soprattutto il settore artigiano, che ha perso l’1,94% della sua base produttiva, il valore più alto dal 2009.

Continuano, quindi, a nascere imprese, ma la crisi non sembra dare tregua: il Mise ha attualmente attivato 159 tavoli di confronto riguardanti imprese in difficoltà, che coinvolgono oltre 120.000 lavoratori: il numero di esuberi ammonta in media al 15% della forza lavoro delle singole imprese. Di queste, diciotto – cui corrispondono 2.300 dipendenti – hanno dichiarato la cessazione di attività.

Secondo l’Osservatorio sulle crisi d’impresa di Cerved Group (novembre 2013), che misura l’impatto della recessione economica sulle imprese italiane, a causa delle aspettative pessimistiche sul futuro sarebbero state liquidate persino delle società sane: nei primi nove mesi del 2013 sono state aperte 62 mila procedure di crisi o di liquidazione volontaria, il 7,3% in più di quanto osservato negli stessi mesi del 2012. Il record è stato raggiunto anche con riferimento ai fallimenti (quasi 10 mila nei primi nove mesi del 2013, il 12,1% in più rispetto al 2012) e alle liquidazioni (quasi 25 mila nei primi nove mesi del 2013).

A fronte di questa crisi strutturale, un numero crescente di imprese ha fatto ricorso alla cassa integrazione: nel 2013 sono state autorizzate più di un miliardo di ore di cassa integrazione, di cui 343.544 ordinaria, 430.450 straordinaria e 251.675 in deroga. Rispetto al 2007 sono 847.792 ore in più (ossia, 275.173 in più per quella ordinaria, 344.416 per quella straordinaria e 228.203 per quella in deroga). Si osserva, negli ultimi mesi del 2013, un aumento della cassa integrazione straordinaria, segnale di una crisi lunga e duratura.

Particolarmente in crisi il settore manifatturiero. Un recente rapporto di Bruxelles, “Competing in Global Value Chains”, evidenzia la crisi sofferta dalla manifattura italiana – corrispondente a una perdita di 24 punti percentuali – tra il 2008 e il 2013 (hanno registrato risultati peggiori solo Finlandia, Spagna, Grecia e Cipro, con un calo prossimo al 35%). In particolare, il manifatturiero (come quota del Pil) tra il 2000 e il 2012 ha perso il 4,5%, seguito dall’agricoltura (-0,8%), e dal minerario (-0,1%), mentre hanno registrato saldi positivi le costruzioni (0,8%) e la fornitura di elettricità, gas e acqua (0,3%), ma soprattutto i servizi, sia di mercato (2,6%) che non di mercato (1,7%). Ne ha risentito, nello stesso periodo, anche l’occupazione: -28% nel tessile, -25% nelle tlc, -15% sia nel comparto minerario sia nell’agricoltura. Anche in questo caso si osserva uno spostamento verso il settore dei servizi, come il +30% della consulenza e programmazione Ict o il 38% delle attività di alloggio e ristorazione.

Per quanto riguarda l’export, invece, Lanfranconi ha dhciarato che: “Si confermano le conclusioni dell’analisi che avevamo svolto a fine anno, in merito alla mancata crescita dell’industria, dovuta a una crisi strutturale, seppur ci sia qualche segnale di ripresa. I maggiori problemi riguardano la dimensione delle imprese e la dipendenza dalla domanda estera. Migliorano, infatti, le prospettive per le imprese di medie dimensioni e più orientate verso i mercati esteri, ma non per quelle di minori dimensioni”. Nell’ultimo anno, l’Italia ha registrato una crescita di un punto nell’export, controbilanciata da una caduta di oltre il 6% della domanda interna, che ha un maggiore impatto sulle imprese più piccole. Tra il 2010 e il 2013 il 51% delle imprese ha aumentato il fatturato totale, il 39% quello nazionale e il 61% quello estero. In conclusione, in base a questi dati, si possono rilevare quattro categorie di imprese: le aziende vincenti (aumentano il fatturato in Italia e all’estero): sono il 18,1% del totale e producono il 20% del valore aggiunto, le società che crescono all’estero (fanno ricavi fuori dall’Italia e vedono calare quelli in Italia): sono il 33% del campione e fanno il 38% del valore aggiunto, le aziende che crescono in Italia (fatturato in aumento in Italia e in riduzione fuori): sono il 13,3% del totale e rappresentano l’11% del valore aggiunto, le aziende in ripiegamento (ricavi in flessione ovunque): sono il 35,6% del campione ed esprimono il 30,6% del valore aggiunto).

Da qui emerge come l’export sia stato un fattore cruciale nel sostenere l’attività produttiva. Anche il tasso di disoccupazione continua a registrare incrementi (da 12,3% nel terzo trimestre, a 12,6% nel bimestre ottobre-novembre), e il credito è diminuito influenzando in modo negativo la ripresa. “Senza credito non sono possibili né investimenti né innovazione – conclude Lanfranconi – senza i quali non può esserci né un miglioramento della competitività né tanto meno la crescita”.