PMI post crisi. Gattinoni: “Oggi l’imprenditore è di nuovo un innovatore”

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Mauro Gattinoni, direttore di Api Lecco Sondrio
Mauro Gattinoni, direttore di Api Lecco Sondrio

LECCO – Ancora pochi giorni, poi con agosto andrà ad aprirsi il periodo delle ferie estive per molte imprese del territorio. Il meritato riposo per l’economia lecchese, che può tirare il fiato dopo anni di forti difficoltà che hanno colpito tutti, sia le grandi e che le piccole realtà industriali. Eppure, la spinta innovativa, la grande vetrina della rete, hanno dato anche alle imprese di dimensioni minori la forza di emergere e ricavarsi un posto di eccellenza sui mercati internazionali; oggi welfare e nuove tecnologie sono parole d’ordine di un nuovo tipo di industria. Ne abbiamo parlato con Mauro Gattinoni, direttore di API Lecco e Sondrio.

Solo qualche settimana fa è stato raggiunto l’accordo sul Contratto Nazionale di Unionmeccanica, si guarda alla sanità integrativa, sicurezza sul lavoro e formazione, welfare aziendale. Oggi l’impresa è più vicina ai lavoratori?
“Quello che emerge con questo contratto è che il lavoro non è più concepito come una prestazione a fronte di un riconoscimento economico, il rapporto di lavoro si allarga a tutta la dimensione della persona, la formazione, la sanità per sé e per i familiari, l’ambito della sicurezza, la previdenza complementare integrativa… un capitolo di grande novità è quello del welfare. Il contratto di lavoro in un’azienda industriale permette oggi di avere delle tutele come cittadino, con un arretramento dell’ente pubblico, impossibilitato a far fronte a tutte queste prestazioni. C’è un incentivo fiscale importantissimo, tutte le risorse che vengono dirottate su prestazioni e servizi sono esentasse, l’esatto importo di questo ‘salario differito’ in welfare non è tassato. Alla fine di settembre ci sarà una nostra iniziativa forte per spiegare le potenzialità di questo contratto nazionale che non è più solo una trattativa sul costo del lavoro ma che offre importanti opportunità a lavoratori e aziende”.

Accennava al costo del lavoro, è possibile ridurlo ulteriormente? Quali tasse oggi pesano di più sulle imprese? Guardando anche al referendum di ottobre, una maggiore autonomia della regione può essere una soluzione?
“La tasse più ingiusta a tutti gli effetti è l’Irap, un’imposta regionale che colpisce le imprese anche quando sono in perdita, un aggravio che tutti i partiti, in campagna elettorale, avevano promesso voler almeno ridurre se non eliminare, cosa che non è avvenuta. Sul piano nazionale invece, la defiscalizzazione del lavoro nel 2015 che ha permesso l’esenzione di 8 mila euro annui per tre anni, quindi risparmi sulle assunzioni ed è stata una grande boccata d’ossigeno per le imprese. Il primo anno c’è stata un’impennata di assunzioni, dimezzando il contributo nel 2016 si è dimezzata anche la quota di assunti, quest’anno siamo a zero e la grande incognita è quella del 2018, quando il Jobs Act dovrebbe fare da contrappeso, costringendo le aziende a pagare in caso di licenziamenti e quindi di fatto gli assunti dovrebbero conservare il loro posto. Il referendum invece non avrà nessuno effetto giuridico, sarà un grande sondaggio che sicuramente avrà un esito positivo. Da li l’efficacia post referendaria è tutta da costruire, sicuramente credo che chiunque veda di buon occhio l’idea di autonomia affinché le risorse restino vicine al territorio per la sua valorizzazione”.

Sul fronte occupazionale, si prevedono nuove assunzioni nelle piccole medie imprese? Quali figure professionali troveranno impiego più facilmente?
“Nel breve periodo, da settembre a fine anno, il trend resterà positivo. Le aziende cercano profili tecnici molto specializzati, tornitori, fresatori, stampisti e disegnatori, sviluppatori di progetto. Nel lungo periodo saranno tre i problemi: la formazione dei giovani, le fasce over 50 che non potranno essere convertibili se diventerà operativa Industria 4.0 , e una contrazione globale del numero degli occupati. Questo è un problema sociale, non economico, perché l’impresa continuerà a fare i suoi utili ma ci sarà meno lavoro, sarà più specializzato, con un filtro importante in ingresso e un rubinetto aperto in uscita”.

Accennavamo alla fase di crisi vissuta anche dall’economia lecchese. Quali settori ne sono usciti meglio nel lecchese?
“Non dobbiamo chiamarla crisi ma è la norma, già nel 2014 era la norma, ora è un anno e mezzo che le imprese hanno ricominciato a guadagnare e investire. Difficile parlare di settori, nel nostro territorio le imprese hanno una specializzazione di progetto non di prodotto, scavalcano questa classificazione. Lecco è la sesta provincia in Italia per incremento di fatturato e ordini, siamo territorio pro-ciclico, quando l’economia inizia ad andar bene noi andiamo ancor meglio, quando va male noi andiamo peggio e abbiamo sbocchi su un numero ampio di mercato finali. Le imprese con oltre il 60% di affari all’esterno hanno fatto da traino a settori minori e agli artigiani sub fornitori. In provincia il 73% delle imprese è metalmeccanico. C’è poi il settore alimentare che non ha mai sofferto la crisi, il plastico ha tenuto bene, il tessile nella nostra provincia ha numeri minori ed ha sofferto parecchio”.

Con il mercato interno fermo, l’export è stata la scialuppa di salvataggio di tante piccole imprese lecchesi. Come gli imprenditori lecchesi hanno saputo superare la logica locale per lanciarsi nel mercato internazionale? E quali vantaggi ha dato loro?
“Il tema dell’export è stato a lungo predicato ma mai vissuto e percepito, poi ci siamo accorti che il mondo era piccolo e che, sfruttando le energie della rete, anche le aziende piccole hanno trovato grande visibilità. Chiaro è che dietro deve esserci una strategia ed è quello che abbiamo cercato di fare con il nostro ufficio estero. Sono oggi 43 le aziende che seguiamo, fungiamo da service per la parte commerciale, facendo le veci dell’azienda accompagnandola alle fiere, rappresentandola sia nella trattativa commerciale che nella presentazione dei cataloghi, nel tentativo di renderla sempre più autonoma nel suo agire sul mercato internazionale”.

Industria 4.0 è accessibile anche per le piccole aziende ? Come reperire i fondi? API che aiuto può dare?
Ci sono due aspetti da considerare, quello fiscale e quindi i forti incentivi, per detassazione e iper e super ammortamento per investimenti strumentali, che sono incentivi automatici e accessibili anche ai più piccoli. La possibilità di avere costi più leggeri negli acquisti di tecnologie grazie agli ammortamenti, ha rimesso in moto quell’anima tecnica che è insita in ogni imprenditore ma che è stata infiacchita da anni di crisi che lo ha costretto ad occuparsi di aspetti finanziari, ora invece l’imprenditore può fare il suo vero lavoro, che è innovare. Api si è attrezzata con ApiTech, la nostra start up innovativa, una struttura capace di dare risposte al bisogno tecnologico di un’azienda: con un gruppo dei tecnici, tempi e costi certi, sappiamo dare una consulenza per supportare l’idea di sviluppo, suggerendo anche i bandi per raccogliere le risorse che aiutino questo investimento.

Quali saranno le sfide future per l’associazione e per il territorio?
“Teniamo sempre monitorata la soddisfazione delle nostre aziende, prima la crisi e oggi a maggior ragione la necessità di sviluppo sta rendendo indispensabile per le imprese non avere una sponda associativa, un’azienda da sola non può occuparsi di tutto ed essere aggiornata su ogni cosa. Vogliamo creare un nuovo legame fiduciaria tra la struttura associativa e i singoli associati, anche segmentando i servizi per gruppi omogenei di aziende, servizi non solo generalistici ma anche con progettualità mirate per essere sempre più vicini alle aziende. Sicuramente uno dei futuri obiettivi per il nostro sistema deve essere quello di far decollare il rapporto tra scuola superiore e mondo del lavoro, ancora le scuole faticano a trovare un minimo di coordinamento e questo a svantaggio soprattutto dei ragazzi. La seconda sfida riguarda il welfare, ovvero non creare contrapposizione tra gli inclusi, che hanno un contratto di lavoro con tutte le tutele, e gli esclusi, che non hanno neanche il lavoro. Una frattura di cui sopratutto le istituzioni, ma anche le associazioni, credo dovranno farsi carico”.