‘Ndrangheta a Brescia: imprenditori in difficoltà nelle mani degli usurai

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BRESCIA – E’ stata nominata “Atto Finale” l’operazione di Polizia di Stato e Guardia di Finanza che ha fatto scattare misure cautelari nei confronti di quattordici soggetti, dei quali 12 in carcere e due ai domiciliari, accusati di associazione per delinquere di stampo mafioso e gravemente indiziati, a vario titolo, di usura ed estorsione commessi con metodo mafioso.

L’operazione è scattata nelle prime ore del mattino, nelle province di Brescia, Milano, Reggio Calabria, Cremona e Ascoli Piceno, la Polizia di Stato e la Guardia di Finanza, coordinati dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Brescia.

In particolare le indagini, proiettate anche all’estero, avrebbero permesso di infliggere un duro colpo ad un’importante cosca, che rappresenta un casato di ‘ndrangheta tra i più antichi e potenti della Piana di Gioia Tauro, in provincia di Reggio Calabria, infiltrata nel tessuto economico bresciano.

Inoltre, il Comando Provinciale dei Carabinieri di Brescia ha eseguito un ulteriore provvedimento cautelare in carcere a carico di 2 soggetti, uno dei quali collegato anch’egli ad ambienti malavitosi di natura ‘ndranghetista, e gravemente indiziati della commissione di altri fatti di estorsione commessi con le tipiche modalità mafiose.

Sono state eseguite 20 perquisizioni ed è stata sottoposta a sequestro preventivo una somma pari a 77.540 euro quale profitto del delitto di usura. L’attività degli investigatori ha permesso di documentare, nonostante il periodo di lockdown, condotte intimidatorie ed estorsive, accordi e pagamenti usurari, accompagnati da pressioni e pretese economiche in danno di imprenditori, accordi per la spartizione degli illeciti guadagni, richieste di protezione criminale e gravi situazioni di esposizione a rischio per l’incolumità individuale.

In alcuni casi, è stata provata una vera e propria vendita di denaro a condizioni usurarie ad un imprenditore del Nord in difficoltà economiche, cercando di assicurarsi la certezza del rientro dell’investimento con i convincenti sistemi propri del metodo mafioso e dunque consentendo il conseguimento di fonti parassitarie di reddito.

Si inquadra nel contesto anche la figura di alcuni imprenditori, in difficoltà economiche, sicuramente amplificate a causa dell’emergenza Covid-19 e del conseguente lockdown, i quali hanno avuto notevoli difficoltà nel rispettare gli impegni e le scadenze, con ciò causando il “nervosismo” di alcuni indagati, i quali con un intento intimidatorio, hanno addirittura inviato via WhatsApp la riproduzione fotografica delle abitazioni degli imprenditori.

Nel corso delle indagini, inoltre, è emerso che ulteriori soggetti, legati all’associazione di matrice ‘ndranghetista, operavano nella provincia di Brescia commettendo frodi fiscali e reati di riciclaggio  avvalendosi, appunto, della creazione e dell’utilizzo di decine di società “cartiere” italiane ed estere che avrebbero assicurato un vorticoso giro di fatture false per decine di milioni di euro a vantaggio di imprese locali, riuscendo, in tal modo, ad attuare una sofisticata e pericolosa forma di “inquinamento” dell’economia legale attraverso l’erogazione di servizi fiscali illeciti.