Lettera. “Chiedo all’ospedale di Lecco più attenzione per i degenti non autosufficienti”

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lettera

LECCO – Riceviamo e Pubblichiamo:

“Non voglio fare di tutta l’erba un fascio, perché non sarebbe giusto, ma non vorrei nemmeno restare in silenzio a fronte dell’esperienza diretta avuta presso l’Ospedale Manzoni di Lecco, al quale lancio un appello, chiedendo più attenzione per i degenti non autosufficienti e là dove ci fossero della carenze di personale, chiedo di dare la possibilità ai volontari di poter essere d’aiuto a queste persone anche a fronte della pandemia in corso.

Lo chiedo dopo aver assistito al calvario che ha dovuto subire mio padre, ma ancor più al modo in cui è stata gestita la sua degenza.

Ricoverato, poi dimesso, ricoverato per una seconda volta e di nuovo dimesso, poi il terzo ricovero dal quale non ne è più uscito: è morto il 6 marzo scorso, dopo aver contratto il Covid in ospedale ed essere stato rinchiuso nell’apposito reparto per 36 giorni.

Il primo ricovero è avvenuto il 28 novembre scorso, per essere sottoposto ad un intervento chirurgico, dopodiché è stato mandato a casa. Dopo 5 giorni, durante i quali ha manifestato svariati scompensi, abbiamo deciso di farlo ricoverare nuovamente. Durante la degenza in ospedale è caduto pur essendo dotato di deambulatore. Dopo la caduta è stato rimandato a casa, ma la situazione, a causa di un virus contratto al nosocomio, è peggiorata. Io e mio fratello siamo riusciti a gestire la situazione per circa 10 giorni, ma la forte dissenteria e la necessità di attenzioni 24 ore su 24, ci hanno costretti a farlo ricoverare di nuovo.
Dal 14 gennaio, e per i quindici giorni successivi, è rimasto nel reparto di Medicina dove avrebbe contratto il Covid, quindi è stato trasferito nell’omonimo reparto, dove è rimasto per 36 giorni senza più uscirne.
Non l’ho più visto per 21 giorni, poi ho preteso di poterlo andare a trovare. L’avevano preparato bene per la mia visita: sbarbato, biancheria pulita, ma sedato. Alcuni dettagli mi hanno portato a sospettare che non fosse così nei giorni passati: la biancheria aveva ancora le pieghe di quando l’avevo portata 36 giorni prima, i lacci legati al letto mi hanno fatto sospettare che venisse anche immobilizzato, il vassoio del cibo sul lato sinistro dove lui presentava una paresi. Quel giorno non abbiamo potuto comunicare perché era sedato, ma alcuni giorni prima aveva mandato tre messaggi distinti: a me, a mio fratello e un nostro parente, dai quali si evinceva chiaramente che le condizioni in cui si trovava non erano idilliache per usare un eufemismo.

In una situazione simile com’è possibile non poterlo aiutare e com’è possibile non consentire a nessuno, nemmeno ai volontari, di poter entrare a dare man forte al personale ospedaliero che, se veramente in difficoltà o in affanno per questioni di numeri e tempo, potrebbe avvalersi dal loro aiuto almeno in quei frangenti in cui le persone non auto-sufficienti hanno bisogno, non fosse altro per consentire loro una degenza dignitosa e, come nel caso di mio padre, di trascorrere gli ultimi giorni della propria vita in modo più umano”.

Azzurra Denti