Covid. Medici, infermieri e soccorritori sempre sul fronte: “Non ci siamo mai fermati”

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Il personale sanitario sconta il peso della pandemia ora di nuovo nel pieno dell’emergenza

La fatica di mesi di lavoro e l’incubo di tornare ai livelli dello scorso marzo

 

LECCO – Stanchi, psicologicamente provati e anche un po spaventati dal rischio che la situazione possa peggiorare e tornare alla drammatica primavera appena trascorsa: l’emergenza non è mai finita per medici, infermieri e per i soccorritori da mesi in prima linea per assistere i pazienti di Covid.

“L’epidemia purtroppo ha gli stessi contorni clinici dei mesi scorsi, la differenza è che la prima fase ci ha costretti ad affrontare un numero importante di malati molto gravi in un solo colpo, ora sono distribuiti sul territorio, con una maggioranza di casi medio-gravi e asintomatici, c’è un filo meno di affanno ma solo per adesso e solo con i numeri che abbiamo ora – spiega il dott. Pierfranco Ravizza, medico cardiologo dell’ospedale e presidente dell’Ordine dei Medici di Lecco – Il sentire generale è un po’ di sconforto perché si sperava di non ripiombare in una situazione preoccupante”.

Il dottor Pierfranco Ravizza

Un pensiero analogo a quello degli infermieri “al lavoro nelle strutture ospedaliere ma anche nelle Rsa e sul territorio, c’è chi assiste in libera professione i malati direttamente nelle loro abitazioni – ricorda Fabio Fedeli di Opi Lecco – questa esperienza non ha risparmiato le fatiche di nessuno, la prima linea è stata l’ospedale poi si è riversata a cascata in ogni altro luogo di cura. Le testimonianze dei colleghi arrivano da ogni fronte. C’è ancora una forte stanchezza per i mesi passati, non c’è stato il tempo di recuperare. Nella breve tregua estiva sono ricominciate le attività ordinarie a tutti i livelli abbiamo cercando di dare un accelerata per recuperare quanto non era stato possibile fare nei mesi precedenti”.

Fabio Fedeli

“Il carico che ci portiamo – prosegue il presidente dell’Ordine degli infermieri – non è solo di impegno fisico ma anche dal punto emotivo. Assistiamo persone che sono in isolamento, cerchiamo di lenire questa solitudine con la nostra presenza e mettendoli in contatto con familiari attraverso le video chiamate, dal punto di vista umano è una condizione che ci tocca profondamente”.

Rispetto alla scorsa primavera “arriviamo alla seconda ondata con una maggiore consapevolezza, anche dal punto di vista organizzativo, però l’epidemia sta correndo e rischia di bruciarci sul tempo – sottolinea Fedeli – una cosa che ripeto da tempo è che questa emergenza sta mettendo in luce l’importanza di un sistema sanitario pubblico che non lasci indietro nessuno”.

Preoccupano i contagi

In prima linea, i primi esposti al rischio: nella prima fase dell’emergenza oltre 300 operatori sanitari dell’ospedale hanno contratto il virus. Nelle ultime due settimane, i casi tra il personale dell’azienda ospedaliera cittadina sarebbero aumentati, arrivando ad una cinquantina secondo i dati raccolti dai referenti sindacali.

“Purtroppo ci risiamo e i segnali che abbiamo non sono buoni – spiega Ercole Castelnovo della Rsu – sono numeri che preoccupano e segno che qualcosa non funziona nella gestione del problema. C’è preoccupazione anche tra gli operatori e sappiamo che ci sono stati alcuni casi di dimissione tra il personale. C’è tanta fatica, questa situazione sta mettendo a dura prova le persone dentro e fuori dall’ospedale, perché il timore di contagiare i propri cari spinge gli operatori ad evitare contatti troppo stretti in famiglia. Ci sono madri e padri che per settimane si sono isolati dai propri figli ed ora questa situazione torna a ripetersi”.

Ercole Castelnovo – Rsu ospedale

“Lo stress psicologico è tanto – racconta Castelnovo – la differenza rispetto alla prima ondata è oggi si conosce bene a cosa si sta andando incontro e il pensiero spaventa. Per questo abbiamo chiesto che venisse riattivato lo sportello psicologico, finalmente rimesso in servizio nelle ultime ore. Il problema è che il personale utilizzato non sono forze nuove ma sono gli stessi psicologi già in servizio e già gravati dal lavoro con l’utenza”.

La rappresentanza sindacale torna e chiedere anche assunzioni: “Con un’ultima delibera vengono assunti 36 nuovi infermieri per sostituire personale che andrà in pensione, peccato che siano assunzioni a tempo determinato per un anno, precarie quindi e in un momento in cui c’è carenza di figure infermieristiche rischiamo che possano trovare un posto più stabile in altre realtà”.

Sulle ambulanze

L’avanguardia del fronte è quella dei soccorritori, del personale delle ambulanze che raggiungono i malati direttamente nelle loro case.

Paolo Rusconi – Soccorso Bellanese

“Ci avevano detto che sarebbe arrivata questa seconda ondata, speravamo fosse un’eventualità scongiurata e invece non è stata così – spiega Paolo Rusconi, presidente del Soccorso Bellanese – c’è sicuramente della stanchezza, in primavera la pandemia è arrivata all’improvviso, era una situazione nuova ed eravamo un po’ ‘ingenui’ rispetto a quello che sarebbe accaduto. Ora ne siamo consci e sicuramente vorremmo non si ripresentasse quella situazione”.

“Oltretutto – aggiunge – in quel momento, le attività lavorative erano ferme e le associazioni di soccorso potevano contare su più volontari, oggi facciamo conto dei nostri dipendenti, riuscendo comunque a garantire il servizio. Le chiamate fortunatamente sono meno, non capiamo se dovute ad un calo o ad un diverso atteggiamento delle persone”

Gianluca Tonella, Lecco Soccorso

“I pazienti che trasportiamo sono in condizioni migliori rispetto a marzo e aprile quando i casi erano molto gravi – racconta Gianluca Tonella di Lecco Soccorso – prima, forse per la paura di andare in ospedale, si attendeva troppo. Un miglioramento è anche l’arrivo in ospedale, non ci sono più quelle code di ambulanze in attesa fuori dai Pronto Soccorso, c’è una maggiore organizzazione e anche più consapevolezza della malattia che consente una selezione più rapida dei casi sospetti”.

Amareggiano negazionisti e irresponsabilità

Stanchi e anche un po’ arrabbiati: “Certo non fanno piacere certe forme di negazionismo, espresse anche con comportamenti, avventati, di sottovalutazione dei rischi – commenta il dott. Ravizza – forse non essere stati toccati direttamente dal virus, tra i conoscenti o in famiglia, riduce la sensibilità a percepire la gravità della situazione”.

Acclamati pubblicamente come ‘eroi’ nella prima fase della pandemia, gli operatori sanitari continuano il loro lavoro, in una società forse oggi più irrequieta meno attenta: “Noi ci siamo – conclude Ravizza – e chi ci apprezza continua a farlo come in precedenza”.