Covid e bambini, il primario Bellù: “Qui in Pediatria il virus colpisce indirettamente”

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il Dott. Roberto Bellù

Il reparto di Pediatria al Manzoni di Lecco è pieno, ma su 14 posti letto solo tre sono dedicati a pazienti Covid

In aumento i ricoveri di ragazzini dai 12 anni in sù per scompensi emotivi. E si torna a parlare dei danni indiretti del virus

LECCO – Il reparto è pieno e si appresta ad aumentare i propri posti letto per accogliere anche i pazienti della Pediatria dell’ospedale Mandic di Merate, chiusa per la riorganizzazione di spazi e personale legata alla recrudescenza dell’epidemia da coronavirus.
Ma non tutti i posti letto del reparto di Pediatria dell’ospedale Manzoni di Lecco sono pieni a causa del Covid. Su quattordici posti attualmente occupati, sono solo tre quelli riservati a pazienti risultati positivi al virus e necessari di ricovero mentre il resto è occupato da bambini sottoposti a cure ospedaliere per malattie stagionali e da preadolescenti e adolescenti con scompensi emotivi, seguiti con l’equipe specializzata della neuropsichiatria infantile.
Una fotografia importante quella che emerge dall’intervista rilasciata da Roberto Bellù, direttore del dipartimento materno infantile dall’ospedale Manzoni di Lecco, che evidenzia in tutta la loro gravità e importanza anche gli effetti indiretti della pandemia in corso.

Come si sta comportando il virus in questa seconda ondata nei confronti della popolazione in età pediatrica?

“Sia per pericolosità che per gravità dei casi, la patologia è simile a quella che abbiamo riscontrato durante la prima ondata di marzo e aprile. Rispetto agli adulti, il covid produce, nella maggioranza dei casi, effetti ridotti e gestibili. Qui a Lecco non abbiamo avuto finora la necessità di effettuare dei ricoveri di bambini in terapia intensiva né abbiamo registrato casi gravi. Si può in sintesi dire che il prezzo pagato dai bambini al covid non è lo stesso che pagano gli adulti”.

Il reparto di ostetricia e ginecologia è diventata da maggio centro Hub per il trattamento di donne in gravidanza positive al virus. Cosa è cambiato?

“E’ stata una riorganizzazione importante che abbiamo seguito, passo passo, adeguando le nostre procedure a quello che ci imponeva e ci impone l’emergenza sanitaria, tenendo sempre però come faro l’importanza di salvaguardare il rapporto della triade mamma – papà e bambino anche in una fase così delicata come quella attuale.
Essendo diventati centro di riferimento per la presa in carico di donne gravide covid positive, abbiamo seguito un maggior numero di donne. Solitamente anche se la mamma è positiva al virus al momento del parto, il neonato nasce negativo ma può capitare che venga contagiato poi nei giorni successivi. E’ così capitato di avere un numero maggiori di infezioni che riguardano i neonati entro i primi mesi di vita. Fortunatamente, come dicevo anche prima, non abbiamo registrato casi gravi”.

Il numero di contagi è però aumentato anche nei più piccoli?

“Sì, indubbiamente. Ci sono più bimbi positivi sia ricoverati che non ricoverati. E questo perché siamo in un periodo diverso: siamo nella stagione autunnale e andiamo verso l’inverno. Non solo, ma la scorsa primavera le scuole, di ogni ordine e grado, erano chiuse, riducendo notevolmente i contatti”.

Durante la prima ondata, molti esperti nel campo pediatrico e psicologico, avevano messo in guardia dai rischi legati dalla mancata socialità per i più giovani. Lei stesso, in un’intervista rilasciata al nostro giornale, aveva parlato della possibile gravità degli effetti indiretti per i più giovani. Intuizioni che, vostro malgrado, sono risultate profetiche?

“Sono aumentati i casi di preadolescenti e adolescenti che hanno bisogno di seguire un percorso psicologico. I miei colleghi del reparto di neuropsichiatria infantile stanno lavorando a pieno ritmo. Basta pensare che è in crescita il numero di ragazzi, dai 12 anni in su, per i quali si rende necessario il ricovero ospedaliero per scompenso emotivo e hanno quindi bisogno di cure di tipo neuropsichiatrico. Attualmente ne abbiamo sei”.

I ragazzi pagano il prezzo della mancata socialità?

“Sono tanti i danni indiretti legati a questa emergenza sanitaria: dalla creazione di nuove povertà ai lutti che ci si è trovati improvvisamente a elaborare, alle ansie e alle paure e ci sono anche le limitazioni al contatto, strumento indispensabile per la crescita. Mi sembra però che finora il meccanismo messo a punto per permettere la riapertura delle scuole, predisponendo protocolli condivisi con tutti gli attori in campo, dalle scuole all’Ats, passando per i pediatri del territorio, stia funzionando bene. La socialità è sicuramente un bene fondamentale per il benessere psicofisico del bambino e del ragazzo. Estremizzando potremmo dire che per questa fascia di età sono i maggiori i rischi non legati al Covid che quelli legati direttamente al virus. Detto questo, bisogna sicuramente trovare un equilibrio tra la necessità di proteggere gli adulti e quella di salvaguardare il benessere psicofisico dei più piccoli”.