Cerro Torre. Da Brothers in arms ai soccorsi a Korra Pesce: il racconto dei Ragni

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Cerro Torre (foto FB Matteo Della Bordella)
Cerro Torre (foto FB Matteo Della Bordella)

Sul sito ufficiale il report di Matteo Della Bordella e compagni su quanto successo in Patagonia

Dal gruppo alpinistico: “Il nostro abbraccio fraterno a tutti coloro che sono stati toccati da queste vicende”

LECCO – “Quello che è accaduto nei giorni scorsi sul Cerro Torre ci ha travolto. Come è successo altre volte nella nostra storia, in poche ore si sono susseguite l’ansia per l’attesa di notizie, il sollievo nel sapere che i nostri alpinisti erano sani e salvi, la felicità per un grande risultato raggiunto e la disperazione per la tragedia che ha coinvolto dei carissimi amici…”.

Con grande emozione i Ragni della Grignetta hanno commentato sul sito ufficiale (www.ragnilecco.com) quanto successo nei giorni scorsi sul Cerro Torre in Patagonia. Dalla gioia per la tanto desidera realizzazione di una nuova via lungo il Diedro degli Inglesi da parte dei Maglioni Rossi, alla disperazione per la morte dell’amico Corrado Korra Pesce, che aveva “incrociato” Matteo Della Bordella, Matteo De Zaiacomo e David Bacci, a sua volta impegnato a inseguire un suo sogno sulla mitica montagna della Patagonia.

“Sono momenti in cui preferiremmo il silenzio alle parole, ma già molto si è detto e scritto sui giornali e ci sembra pertanto corretto dare voce ai due Matteo e David, che questa vicenda l’hanno vissuta da vicino. Riportiamo quindi il report che loro tre hanno inviato e mandiamo il nostro abbraccio fraterno a tutti coloro che sono stati toccati da queste vicende”.

Il report di Matteo Della Bordella, Matteo De Zaiacomo e David Bacci

Martedì 25 gennaio. Sono le 11.30, David Bacci, Matteo De Zaiacomo “Giga”, ed io (Matteo Della Bordella) attacchiamo la parete Est del Cerro Torre, per la via aperta da Maestri ed Egger nel 1959, fino al nevaio triangolare. Da qui proseguiamo con altri 5 tiri di placca molto ingaggiosa e giungiamo in prossimità del cosiddetto “box degli inglesi”. Del box ormai rimangono solo poche lamiere accartocciate e questi non offre alcun tipo di riparo o possibilità di bivacco. Abbiamo la nostra portaledge e la montiamo per passare la notte. Mentre scaliamo vediamo Thomas Aguilo “Tomy” e Corrado Pesce “Korra” fissare le corde sui primi tiri della loro linea, la quale si trova circa a 150 metri dalla nostra, per poi fare ritorno alla loro tenda.

Mercoledì 26 gennaio. Durante una faticosa e lunga giornata di scalata, saliamo lungo tutto il “diedro degli inglesi”, dove corre il tentativo di Burke e Proctor del 1981. Percorriamo alcune delle lunghezze estremamente faticose e difficili, la parete è sempre strapiombante e non c’è nemmeno una piccola cengia per appoggiare i piedi in sosta. Stremati dalla lunga giornata, montiamo nel vuoto alla fine del diedro Durante la giornata vediamo Tomy e Korra salire lungo la loro linea e bivaccare su una piccola cengia all’altezza del box e circa 50 metri più a destra.

Giovedì 27 gennaio. Usciamo dal grande diedro e con un corto traverso raggiungiamo la parete Nord del Torre. Qui troviamo una piacevolissima sorpresa: incontriamo gli amici Tomy e Korra impegnati ad aprire la loro nuova via. Mancano circa 300 metri alla vetta e decidiamo di unire le forze per la parte finale. Korra è il più fresco e il più forte, si mette in testa alla cordata, Tomy lo segue e noi dietro di loro ripercorriamo i tiri appena aperti. Dal punto di vista mentale seguire una “macchina” come Korra è un vantaggio enorme.
Alle 17 Tomy e Korra arrivano in cima al Cerro Torre, hanno aperto una via grandiosa sulla montagna più bella e del mondo. Mezz’ora più tardi David, Giga ed io li raggiungiamo sulla vetta. Anche noi abbiamo aperto una nuova via sul leggendario Cerro Torre, non è solo un grande sogno questo, ma è sicuramente la via più bella, importante e difficile che abbiamo mai percorso nelle nostre vite.
Pochi istanti dopo esserci congratulati gli uni con gli altri, le nostre strade si dividono. Tomy e Korra avevano pianificato la discesa notturna (per ridurre al minimo il pericolo di crolli e scariche) lungo la parete Nord. Noi invece abbiamo pianificato di bivaccare in cima e quindi scendere il giorno successivo lungo lo spigolo Sud Est, la cosiddetta “via del compressore”. Loro provano a convincere noi a scendere insieme a loro, noi viceversa proviamo a convincere loro a scendere con noi, ma tutti decidono di rispettare le proprie originarie intenzioni.

Venerdì 28 gennaio. Tomy e Korra scendono al buio lungo la parete Nord e quando raggiungono il luogo dove avevano lasciato sacchi a pelo e materiale da bivacco decidono di riposarsi un paio di ore, prima di continuare la lunga discesa. In quelle due ore, mentre stavano riposando vengono travolti da un’enorme scarica di ghiaccio e sassi che ferisce gravemente Tomy e ancor più gravemente Korra, il quale rimane completamente paralizzato, impossibile a muoversi, per i traumi riportati.
La montagna è enorme e noi dalla cima del Torre, dove stiamo passando la notte siamo assolutamente ignari dell’accaduto. La mattina iniziamo la lunga discesa a corde doppie per la via del compressore. Dopo circa 30 corde doppie, alle 17 raggiungiamo, al limite delle nostre forze, il ghiacciaio alla base del Cerro Torre.
In quel preciso momento, capiamo che è successo qualcosa. Incontriamo sul ghiaccia o un team di alpinisti che ci comunica di un incidente avvenuto a Tomy e Korra. Dalle informazioni a nostra disposizione ci viene comunicato che Tomy è riuscito a scendere fino a circa 300 metri da terra, mentre Korra è ferito in maniera grave, non ha dato nessun segnale e non si hanno notizie certe sulla posizione in cui si trova.

Grazie al nostro drone, individuiamo la posizione precisa di Tomy, ma purtroppo non siamo in grado di localizzare Korra. Quindi iniziamo le operazioni di soccorso a Tomy circa alle 18 di sera. Conoscendo bene quella parete e pur essendo estremamente provato dalla nostra salita, mi metto al comando della cordata di soccorso. Dietro a me l’alpinista svizzero Roger Schali, quindi il tedesco Thomas Huber, infine l’argentino Roberto Treu. In circa 3 ore ripercorriamo i 7 tiri della nostra via fino a nevaio triangolare, quindi con una traversata di 60 metri raggiungiamo Tomy. Quando finiamo di mettere in sicurezza Tomy e farlo scendere, accompagnato da Thomas Huber e Roberto, è già passata la mezzanotte. Si è alzato un vento fortissimo, la temperatura è precipitata. Io e Roger siamo soli sulla montagna con una sola corda a disposizione, cerchiamo di chiamare o avere notizie su Korra, ma non riceviamo alcun segnale. Tomy ci aveva comunicato che si trovava 300 metri sopra di lui e in condizioni estremamente gravi, tuttavia né tramite droni, né tramite i binocoli, nessuno durante la giornata è stato in grado di localizzarlo.
Roger ed io, aspettiamo fino alle 3 di notte al freddo e al vento sul nevaio triangolare in attesa di qualche risvolto positivo, che tuttavia non arriva. Quando, inizio ad avere alcuni svarioni, non sentire più i piedi dal freddo e sentire una musica nella mia testa, capisco che è il momento di scendere, perché a malapena potrei badare a me stesso in quelle condizioni. La decisione è amara, ma purtroppo siamo già ben oltre i nostri limiti fisici e psicologici, capiamo che Korra resterà per sempre su quella montagna.
A posteriori ci verrà comunicato dall’equipe medica del soccorso che nelle condizioni di Korra, ogni speranza di trovarlo vivo sarebbe stata vana.

Un enorme ringraziamento va a tutti gli alpinisti coinvolti nel soccorso, in particolare a Thomas Huber, che con la sua visione lucida è stato in grado di coordinare le operazioni in parete. Ed anche a tutte le persone che hanno partecipato nel soccorso a Tomy, per trasportarlo dai piedi della parete fino all’accampamento Nipo Nino. E’ stato un lavoro di squadra incredibile con più di 40 persone coinvolte, sia argentine che di altre nazionalità, che per tutta la notte e a discapito di rischi personali, si sono mobilitate dal paese di El Chalten, stando per 40 ore di fila senza dormire, per portare Tomy in salvo. Una ennesima grandissima dimostrazione di solidarietà nel mondo alpinistico.

Chiamiamo la via appena salita da David, Giga ed io, “Brothers in arms” in onore di Matteo Bernasconi, Matteo Pasquetto, Korra Pesce e tutti i nostri fratelli che sono mancati sulle montagne che tanto amiamo.