Alpinismo. Matteo Della Bordella racconta la via dei Ragni al Cerro Torre

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Al ritorno dalla Patagonia il presidente dei Ragni di Lecco racconta il Cerro Torre

Un pensiero per Daniele Nardi e Tom Ballard: “Daniele per me era un amico e lo era anche per molti del nostro gruppo”

LECCO – “Non è facile parlare di questa nostra ultima salita, quando dopo 10 giorni di isolamento dal resto del mondo, torni alla civiltà e ricevi una notizia che pesa come un macigno, come quella di Daniele e Tom…”

Il presidente dei Ragni di Lecco Matteo Della Bordella non poteva non cominciare il racconto della salita della via dei Ragni al Cerro Torre (sul sito ufficiale del gruppo www.ragnilecco.com il racconto completo) con un pensiero per Daniele Nardi e Tom Ballard scomparsi nei giorni scorsi sul Nanga Parbat

“Daniele per me era un amico e lo era anche per molti del nostro gruppo, che in questo momento condividono con me l’angoscia e il dolore per quello che è successo. Altri di noi erano molto legati a Tom Ballard, e immagino siano distrutti quanto me da questa notizia. Tutti noi preghiamo per loro e ci stringiamo nel dolore attorno ai loro cari”.

Matteo Della Bordella e Nicola Lanzetta
Matteo Della Bordella e Nicola Lanzetta

Il film dedicato a Casimiro Ferrari

In ogni caso è doveroso chiudere il racconto della nostra spedizione che fortunatamente ha avuto un esito un po’ inaspettato ma senza dubbio positivo.

L’obiettivo di questa seconda parte di viaggio era quello di scalare la mitica “Via dei Ragni” al Cerro Torre, per un film al quale sto lavorando da due anni insieme al regista svizzero Fulvio Mariani e che avrà come tema il personaggio di Casimiro Ferrari e le sue salite.

La Via dei Ragni al Torre, aperta nel 1974 da un folto team di Ragni, ha reso famoso il nostro gruppo in tutto il mondo e ad oggi è ambita e corteggiata da tutti i migliori alpinisti.

Matteo Bernasconi, nel 2009, aveva effettuato insieme a Fabio Salini la prima ripetizione italiana e mi aveva parlato a lungo di questa salita come una via bellissima di ghiaccio in un ambiente surreale e mozzafiato.

Il nostro piano originario per questa salita era quello di formare due cordate distinte: la prima composta da Matteo Pasquetto e dal cameraman Jonathan Griffith, la seconda composta dal sottoscritto e dall’amico e alpinista sardo Nicola Lanzetta.

Il crepaccio dell’Elmo, 45 anni dopo!

Dopo una serie di eventi sfortunati le cose sembrano andare per il verso giusto… arriviamo sotto il Filo Rosso alle 2 di notte e dopo esserci concessi qualche ora di sonno, prepariamo il materiale per la salita.

E’ il 26 febbraio e le condizioni della via sono buone e ci permettono di procedere veloci scalando per lo più in conserva.Tuttavia il tempo non si è ancora sistemato.

Non abbiamo nemmeno con noi la tenda e siamo entrambi preoccupati all’idea di dover bivaccare con quel vento, che ovviamente abbassa la temperatura percepita di parecchi gradi.

A un certo punto Nicola si ricorda che Mario Conti (anch’egli presente al El Chalten) gli aveva raccontato di un crepaccio proprio sotto l’Elmo che durante la spedizione del ’74 gli aveva fornito un perfetto riparo.

Con tutto il mio stupore, a 45 anni di distanza, ritroviamo lo stesso crepaccio e ci infiliamo al suo interno, scappando così dai turbini di vento che ormai ci sbattevano come in un frullatore.

Una via elegante, impegnativa e “psicologica”

Ripercorriamo le varie fasi della salita dei Ragni del ’74 delle quali avevo tanto sentito parlare da Mario Conti e altri amici: prima il tiro dell’Elmo, poi Nicola conduce i tiri di misto fino alla base della famigerata Headwall: un muro di ghiaccio verticale di 50 metri.

Ad ogni tiro ci stupiamo di quanta arditezza e coraggio avessero avuto Casimiro Ferrari, Mario e gli altri ragni del ’74 a salire da quella linea con le attrezzature di allora e con condizioni ben più difficili.

Per noi la scalata anche al giorno d’oggi resta tanto bella ed elegante, quanto impegnativa e talvolta psicologica.

Ogni tiro pensiamo possa essere il nostro ultimo perché se il vento si alzasse ancora un po’ arriverebbe a spostarci ed a rendere impossibile la nostra salita verso l’alto.

Davanti al Cerro Torre

Piccozze con le ali

Alle 14 siamo a due tiri dalla fine: Nicola monta le alette di metallo sulle picozze e conduce lo psicologico e improteggibile penultimo tiro della via, dove la tenuta della picozza non è data dal conficcarsi dalla becca nel ghiaccio, bensì dal fatto che queste ‘alette’ di metallo facciano presa sulla neve circostante…

Arriviamo sotto il fungo finale e ho giusto il tempo di alzare lo sguardo prima di ripartire senza esitazioni. Sento la vetta vicina, ma anche i muscoli del corpo stanchi. Con la dovuta calma, in 40 minuti sono in cima, dove mi ritrovo immerso nelle nuvole e nel nevischio.

In vetta al Cerro Torre

Un enorme sentimento di soddisfazione e felicità invade tutto il mio corpo, ripenso a quando fino a 2-3 anni fa odiavo scalare su ghiaccio e neve e vedo l’aver salito questa via in buono stile, come il termine di un percorso personale di crescita e di sfida in un genere di scalata che avevo sempre ritenuto non fosse il mio.

Arriva anche il mio amico Nicola, camminiamo fino alla cima del Cerro Torre e ci abbracciamo forte.

E’ stata un’esperienza indimenticabile e sono orgoglioso di averla condivisa con un grande amico ed alpinista come Nicola, penso che il fatto di aver avuto entrambi delle motivazioni molto forti sia stata proprio la chiave del successo anche in mezzo a molte difficoltà che ci siamo trovati davanti.