Montagna. Schiera e Marazzi “scrivono” la trilogia della Val Masino

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Paolo Marazzi

34 ore per concatenare 3 vie sulle pareti simbolo della Val Masino

La trilogia di Schiera e Marazzi sulle tracce di Tarcisio e Ottavio Fazzini, Sabina Gianola e Norberto Riva

LECCO – 34 ore consecutive fra scalate e trasferimenti a piedi per concatenare tre vie sulle pareti simbolo della Val Masino: Elettrochok sul Picco Luigi Amedeo, La Spada Nella Roccia in Qualido e Delta Minox alla Cima Scingino, con partenza e arrivo da San Martino.

Luca Schiera verso l’attacco

I due Ragni della Grignetta Luca Schiera e Paolo Marazzi sono stati i protagonisti della “sfacchinata” completando una delle più belle e ambite grand course della Val Masino, sulle tracce della mitica cordata di Tarcisio e Ottavio Fazzini, Sabina Gianola e Norberto Riva, che negli anni ’80 aprirono tre vie diventate tre classiche di alta difficoltà.

“L’idea è nata nove anni fa, poi rimasta per molto tempo in testa come una cosa troppo lontana dalla realtà per essere concretizzata – racconta Luca Schiera -. Ai tempi non sapevo se sarebbe stato possibile passare da una parete all’altra e non conoscevo sistemi per arrampicare in velocità, fra l’altro non avevo nemmeno ripetuto tutte e tre le vie”.

Sulle fessure atletiche di Elettrochock

Il motivo della scelta è semplice: sono tre vie che salgono sulle pareti simbolo dell’arrampicata in alta val Masino e sono diventate le tre classiche difficili per eccellenza.

“Sono state aperte da Tarcisio e Ottavio Fazzini, Sabina Gianola e Norberto Riva, fra il 1988 e 1989, poco prima della nascita sia mia che di Paolino – continua Schiera -. Elettroshock è stata l’ultima, poco prima della morte di Tarcisio; è una via fisica e diretta che collega lunghe lame e fessure fino alla cuspide del Picco Luigi Amedeo, in val Torrone, una fra le prime aperte usando il trapano in Masino”.

“La Spada è stata la prima a raggiungere la Foglia del Qualido, una lastra di roccia alta sessanta metri appoggiata alla parete verticale ben visibile anche dal fondovalle. Delta Minox si trova sul pilastro dello Scingino, mille metri sopra i Bagni di Masino, in una zona più isolata. La roccia è la migliore che si può trovare nel Masino, ripida ma lavorata, un capolavoro di bellezza e di coraggio nell’apertura”.

Tutte e tre le vie sono conosciute per la linea diretta ma logica “su pareti compatte e per alcuni difficili runout con probabile infortunio, fino al 7a in aderenza, per questo ancora oggi a distanza di trenta anni sono ancora un po’ temute”.

Ultimo tiro di Delta Minox: è fatta!

Il 16 luglio, dopo una nevicata a bassa quota, la partenza: “Avevamo un giorno sicuramente bello e temporale previsto nel pomeriggio successivo, dovremmo farcela. Poco dopo le 10 partiamo su Elettroshock e alle 15 facciamo le doppie, dalla cima vediamo il Cavalcorto in lontananza ma sappiamo che nella notte lo raggiungeremo. Alle 19 partiamo sulla Spada. Scaliamo bene e dopo due ore siamo sotto il penultimo tiro, accendiamo le frontali e un’ora dopo siamo in cima. Sta andando tutto bene, nessun segno di stanchezza e siamo sempre motivati. Scendiamo in val del Ferro e facciamo il primo micro sonno, ci sdraiamo per terra e proviamo a dormire ma dopo venti minuti ci rialziamo tremando dal freddo e ripartiamo di corsa per scaldarci. Poco dopo troviamo un riparo migliore e dormiamo seduti per una buona mezz’ora prima di ripartire verso la cengia del Cavalcorto, abbiamo con noi un pezzo di corda per attraversare una breve placca sospesa sul vuoto”.

L’itinerario seguito da Schiera e Marazzi

“Da ieri sera siamo fradici per l’erba alta bagnata, quando arriviamo alla base di Delta Minox siamo in leggero ritardo sulla tabella ma decidiamo di riposare ancora un quarto d’ora per scaldarci e asciugarci un po’ al sole. Ci svegliamo riposati bene e parte Paolino sulla via, uniamo solo alcuni tiri e non facciamo conserva, la corda sulle placche fa troppo attrito e comunque salire a jumar non si fa fatica. A mezzogiorno siamo al piccolo abete alla fine del pilastro, 22 ore dopo la prima cima. Ci fermiamo un po’ di tempo a rilassarci, chiamiamo Norbi (Norberto Riva, ndr) che sembra contento quanto noi. La discesa la prendiamo con calma per non fare errori, nel pomeriggio siamo a casa, 34 ore dopo la partenza”.

Il racconto completo su www.ragnilecco.com.