Giù dalla Parete Fasana con gli sci: l’impresa della Guida Alpina Andrea Carì

Tempo di lettura: 6 minuti
Passaggi tra le rocce nella parte superiore dell'itinerario (foto Marco Trerotola)

Lo scorso 5 aprile Carì ha sciato in discesa i 650 metri di parete lungo la Via dell’Inglese: “Un sogno che avevo da 20 anni”

L’impresa 100 anni dopo la prima salita, compiuta nel giugno 1925 dall’alpinista Eugenio Fasana

PRIMALUNA – Una storia “nostrana”, di avventura ma anche di un amore, quello per le montagne di casa, custodi di grandi sogni che il tempo e la perseveranza riescono a rendere realtà. E’ l’impresa (non può che essere definita così) dell’alpinista e Guida Alpina Andrea ‘Bedoii’ Carì, 42 anni, che lo scorso 5 aprile ha effettuato la prima discesa con gli sci della parete Fasana al  Pizzo della Pieve, in Grigna Settentrionale, lungo la Via dell’Inglese. Prima curiosità da annotarsi: la parete Fasana deve il nome al suo primo salitore, l’alpinista Eugenio Fasana, che la salì esattamente 100 anni fa, nel giugno del 1925.

E proprio 100 anni dopo Carì ha compiuto l’impossibile: sciare la ripida parete Fasana (inclinazione fino a 60°) per 650 metri, dalla vetta a valle. “Per me la parete Fasana è sempre stata qualcosa di più – racconta Carì – è la parete di casa che ti toglie costantemente il respiro, così come le preziose ore di sole in inverno, ed è un tarlo che si è inserito nella mia mente quasi 20 anni fa, quando mia padre era intento a scrivere la guida Calcare d’Autore, dove, tra i possibili progetti aperti, riportava una discesa con gli sci della via dell’Inglese”.

foto Matteo Zanga

Quel tarlo per Andrea diventa una vera e propria ossessione: “Non è passato inverno senza che mi fermassi con la macchina a Cortabbio a scrutare la parete munito di canocchiale, sperando e cercando le condizioni giuste”. Il primo problema è stato proprio decidere in che periodo dell’anno affrontare la discesa: “Ho subito scartato l’inverno, troppo pericoloso a causa delle slavine, specie della parte alta della parete. Pensavo che la primavera, quando oramai grazie al caldo sole la neve si consolida, sarebbe stato il periodo ideale se non fosse che nei tratti più verticali affiora troppa roccia. Poi mi attanagliava un’altra questione: capire a che ora iniziare la discesa: al mattino presto o con il sole già alto nel cielo? Comunque,  un po’ per pigrizia e un po’ perché davvero non trovavo risposte a questi miei quesiti, liquidavo il mio tarlo con la dura sentenza: non ci sono le condizioni”.

La prima curva in cima (foto Marco Trerotola)

Fino a che arriva l’inverno 2025, esattamente 100 anni dopo la prima salita della Fasana. “Questo inverno nella sua prima parte non è stato generoso di neve ma non mi interessava, ero focalizzato su alcuni progetti di ghiaccio. Con febbraio e marzo la neve, tanta, è arrivata a sud e il mio tarlo a ricominciato a farsi sentire. Così ho preparato un allenamento specifico per il mio sogno: sciavo qualsiasi canale ripido che era in condizioni in Grigna e sui Campelli, inventandomi discese improbabili come quelle parziale della ferrata Minonzio. Sul Canale Ovest della Grigna ho provati cambi d’assetto infiniti tra sci e ramponi, così assurdi che se qualcuno ha visto le tracce avrà sicuramente pensato ad un alpinista ubriaco o indeciso sul da farsi. Poi ho sciato tanto, specie a marzo, quasi tutti i giorni con alcuni free rider americani davvero sul pezzo sulla neve di Andermatt, chiudendo linee pazzesche che mi hanno dato la motivazione giusta per credere nel mio progetto”.

L’altra domanda che ha assillato a lungo Andrea era poi come salire: dal basso lungo la via dell’Inglese con gli sci nello zaino e poi scendere oppure arrivare in cima dall’altro versante? “Salire i quasi 1.300 metri di dislivello dall’Alpe Piattedo fino alla cima del Pizzo della Pieve e poi ridiscendere sci ai piedi i 600 metri di parete verticale dal punto di vista fisico si sente e certe discese, si sa, è meglio non affrontarle da stanchi. Decisi che sarei salito dal versante opposto (dal Cainallo). Mi venne poi incontro il mio lavoro di Guida Alpina: era già da un po’ di tempo che due miei cari amici, Teo e Albi, mi chiedevano di portarli a fare la Via dell’Inglese, così li utilizzai come ‘cavie’ per studiarmi la parete, la via di discesa e eventuali vie di fuga, perché va bene avere un tarlo ma pensavo che sciare mi piace davvero tanto e che avrei voluto continuare a farlo ancora un po’ di anni”. Così Andrea torna più volte in Fasana, a volte da solo e a volte accompagnato, e prepara in alcuni punti linee di sicurezza con ancoraggi e corpi morti: “Soluzioni che mi  permettessero, in caso di neve incerta o di cervello in ‘black out’ di poter scendere con gli sci (e le pive) nel sacco, ma la vita ancora in tasca”.

Andrea Carì (il selfie realizzato al termine della parte più impegnativa dell’itinerario, quella centrale)

Un lavoro minuzioso che Andrea fa cercando di dare il meno possibile nell’occhio: “Ho chiesto agli amici di non pubblicare le foto delle nostre salite su internet sperando che nessuno si decidesse a scalare per primo nella stagione la via. Sciare una linea come questa, a forma di colatoio, porta inevitabilmente al distacco di valanghe e l’idea che qualcuno salisse mentre io scendevo non mi piaceva nemmeno un po’”.

Finalmente, arriva il grande giorno: giovedì 3 aprile Andrea parte dal Cainallo, raggiunge il Nevaio e da li la vetta del Pizzo della Pieve: “Parto, scendo per ben tre curve e un totale di cinque metri prima che uno zoccolo di neve sotto gli sci mi faccia uscire di colpo dalla ‘bolla’ e tremare le gambe. Ho paura, e penso che sia meglio scendere dal Passo del Zapel, una discesa ripida ma comunque molto ambita. L’errore mi ha lasciato addosso un’arrabbiatura che ho trasformato in determinazione e sabato ero di nuovo lì, dove mi ero fermato”.

La mattina del 5 aprile, in cima alla Parete Fasana, Andrea, come ci racconta, è circondato da una calma surreale: “Di solito la cima è un punto in cui la tensione cala fisiologicamente dopo la scalata, per me che vado in contromano doveva essere massima, ma ero tranquillo. Nelle orecchie ascoltavo ‘Sail’ di Awolnation, la musica disturbata solo dal rumore metallico dei ganci degli scarponi che si chiudono”.

Le emozioni emergono con potenza dal bel racconto che Andrea ha scritto (leggi qui) e di cui condividiamo qualche passaggio: “La discesa è stata un viaggio totale dentro la parete ma ancor di più dentro di me. Il tempo scorre veloce, ma in un’ altra dimensione lontana da ciò che in questo momento sono e sto vivendo. Alcuni istanti sembrano lunghi e altri sono brevissimi. L’unico modo per mantenere la concentrazione è la ripetizione ossessiva dei gesti, intervallando momenti di scaletta con la picozza in mano, a curve dove la neve lo permette. Una volta, due volte, tre volte e avanti così fin tanto che metro dopo metro, seguendo le orme che avevo effettuato in salita i giorni precedenti, mi ritrovo in vista della parete del Dente”. La restante parte della discesa scorre tranquilla: “L’avevo  in realtà già sciata la settimana prima durante un precedente tentativo dal basso, andato in fumo dal troppo vento, ero sicuro” racconta.

All’arrivo a valle Andrea lascia andare un urlo liberatorio: “Era arrivato il momento di buttare fuori quel tarlo che dopo 20 anni abitava dentro di me”. Il resto è incredulità e gioia. “Ho telefonato subito alla mia ragazza, lei era l’unica persona al corrente che quel giorno avrei disceso la parete Fasana al Pizzo della Pieve, invece che urlare e insultarmi ha pianto di gioia con me”.

Il venerdì successivo all’impresa Andrea è tornato sul Pizzo della Pieve per replicare la discesa, questa volta seguito da un elicottero che ha ripreso alcune immagini che verranno raccolte in un video descrittivo dell’itinerario, che sarà presto disponibile.

GALLERIA FOTOGRAFICA