Aggressione in stazione: “Voglio un confronto con Salvini. Critica l’assoluzione senza sapere”

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Con un pugno il giovane colpisce una donna nel sottopasso della stazione di Lecco

Il cognato di Manaf Cocobissi non ci sta a sentire parlare di cattiva giustizia: “Molti parlano senza conoscere i fatti”

“Nessuno affronta il problema del disagio psichico. Ben vengano i cani antidroga in stazione, ma questi mica fiutano un malato di mente”

LECCO – “Voglio un confronto pubblico con Matteo Salvini. Mi deve proprio spiegare cosa c’è di sbagliato nella sentenza pronunciata ieri, venerdì, dal giudice del tribunale di Lecco”. Antonio Ciancola è arrabbiato e deluso. Non ci sta che il caso di suo cognato Manaf Abuel Cocobissi, il ragazzo di 24 anni responsabile del doppio pestaggio nel sottopasso della stazione ferroviaria di Lecco, venga strumentalizzato e cavalcato per fini politici lasciando irrisolto il grave problema dei malati psichici.

“Stamattina quando mi sono imbattuto su Facebook nel commento di Salvini non volevo credere ai miei occhi” racconta l’uomo che ieri era presente in Tribunale durante la lettura della sentenza di assoluzione per vizio totale di mente pronunciata dal giudice Enrico Manzi. Stamattina il leader del Carroccio, nonchè ex ministro degli Interni ha condiviso su Facebook un articolo di giornale relativo al caso giudiziario lecchese commentando: “E ti pareva… Sarà mica “giustizia” questa!”. Un commento che ha raccolto tantissimi “mi piace” e condivisioni, lasciando con l’amaro in bocca la famiglia di Malaf: “Davvero penso che molti parlino senza conoscere i fatti. E’ da 14 anni che mio cognato è in cura per problemi mentali. Non solo, ma si cavalca questo episodio legandolo all’immigrazione clandestina, ma lui e la sua famiglia sono in Italia da più di 20 anni”.

Ciancola vorrebbe riuscire a ristabilire la verità dei fatti, focalizzando anche l’attenzione sul serio e quanto mai attuale problema delle persone affette da problemi mentali. “Continuiamo a parlare di sicurezza in stazione. E va bene. Ben vengano anche i cani antidroga. Ma nemmeno loro fiuterebbero un malato psichico che ha bisogno di strutture idonee dove essere preso in carico”. Ieri, fuori dalle aule del Tribunale, il cognato ha raccontato di come, quindici giorni prima dell’aggressione del 10 settembre, i familiari avessero avvisato il Cps segnalando che le condizioni di Manaf fossero peggiorate. “La cosa più brutta è stata sentirsi dire che non c’erano né posti né risorse per poter dargli un sostegno”.

Per Ciancola è questo il vero problema su cui tutti, a partire dai politici, dovrebbero interrogarsi. Il giudice, alla luce della condizione psichiatrica del 24enne (riscontrata da tempo), lo ha assolto ma ha previsto nei suoi confronti una misura di sicurezza di due anni, durante i quali il ragazzo dovrà essere ospitato e seguito in una struttura idonea.
Una disposizione che attende di essere applicata, in quanto per ora non vi sarebbero disponibilità di posti, e il giovane dovrà restare per il momento in carcere a Como, penitenziario fornito di un presidio psichiatrico. “In Lombardia c’è solo una struttura di questo tipo che deve farsi carico di tutte le persone afflitte da malessere psichico. Vogliamo parlare di questo? Vogliamo capire che oggi è successo a Malaf e domani potrebbe succedere a qualcun’altro?”.

Domande che Ciancola vorrebbe porre pubblicamente a Salvini (e a tutti i politici che stanno pronunciando la loro sentenza sul caso) in un dibattito pacifico e sereno, privo di polemiche. “Non sono riuscito a fare niente affinché non avvenisse quello che è successo, ma voglio fare qualcosa per evitare che possa succedere un’altra volta. Questo è un problema strutturale che va ben al di là della sicurezza nelle stazioni. Lo hanno ben capito le due donne vittime dell’aggressione che hanno mostrato, in tutta questa vicenda, un’intelligenza invidiabile”.