Renzo e Lucio: “Migranti discriminati nei loro Paesi di origine, non sono ‘sicuri’”

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Anche l’associazione lecchese in campo per i richiedenti asilo a rischio discriminazione

“Nei loro Paesi di origine non sono rispettati i diritti umani”

LECCO – Alcuni giorni fa Renzo e Lucio con Certi Diritti e associazione IL Grande Colibrì ha denunciato gli effetti perversi del decreto ministeriale sui “paesi di origine sicuri” sulle donne richiedenti asilo e sulle persone appartenenti a minoranze che cercano protezione in Italia.

Albania, Algeria, Bosnia-Erzegovina, Capo Verde, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Marocco, Montenegro, Senegal, Serbia, Tunisia e Ucraina sono Paesi ritenuti ‘sicuri’ dal decreto, una definizione contestata dalle associazioni.

“Il rispetto dei diritti di queste persone è davvero in forte pericolo” spiegano le associazioni che hanno deciso di inviare ai ministri firmatari del decreto la lettera-appello sottoscritta da molte realtà associative che lottano per i diritti delle persone migranti o delle persone lesbiche, gay, bisessuali, trans, queer, intersex e asessuali.

“Nella maggior parte dei paesi elencati – scrivono nella lettera – è ampiamente dimostrato che esistono gravi violazioni dei diritti umani, in particolare dei diritti delle donne e delle minoranze etniche, religiose, politiche e sessuali. Condanniamo quindi fermamente la scelta delle nostre istituzioni di ignorare informazioni provenienti da fonti riconosciute a livello internazionale e, di conseguenza, di negare gravi violazioni dei diritti umani, in violazione del dettato costituzionale e delle convenzioni internazionali”

La mobilitazione delle associazioni ha già portato un primo frutto in Parlamento: i deputati Riccardo Magi (+Europa), Laura Boldrini (PD), Gennaro Migliore (Italia Viva) e Lia Quartapelle (PD) hanno depositato un’interrogazione parlamentare sul tema, che poche ore fa è stata presentata con una conferenza stampa alla Camera. All’appello lanciato dalle tre associazioni hanno aderito più di cinquanta organizzazioni a livello nazionale ed alcune anche lecchesi.


LA LETTERA

 

“Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale
Alla Ministra dell’interno
Al Ministro della giustizia

Noi associazioni esprimiamo la nostra profonda preoccupazione in seguito al decreto ministeriale pubblicato il 4 ottobre ed entrato in vigore il 22 ottobre 2019 a firma dei Ministri degli affari esteri, dell’interno e della giustizia che ha emanato la prima lista di Paesi che l’Italia considera “sicuri”, in applicazione delle modifiche introdotte nel decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, dal decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113.

Tale decreto, senza esplicitare alcuna documentazione e motivazione a sostegno delle scelte fatte, afferma che le nazioni indicate in elenco rispettino i diritti umani e che quindi la valutazione delle richieste di asilo e protezione internazionale di persone provenienti da questi paesi debba considerarle infondate.

Questi  “paesi di origine sicuri” (Albania, Algeria, Bosnia-Erzegovina, Capo Verde, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Marocco, Montenegro, Senegal, Serbia, Tunisia e Ucraina) sono stati individuati rifacendosi nelle premesse a due atti che non sono pubblici (la nota n. 22723 del 3 aprile 2019 del Ministero dell’interno e l’appunto n. 167189 del 1 ottobre 2019 del Ministero degli affari esteri).

La scelta, che appare del tutto immotivata e gravemente infondata, è persino aggravata dal fatto che non si sono neppure individuate categorie o gruppi di persone che, pur provenendo da quelle nazioni, in realtà vengono perseguitate, sebbene tale possibilità fosse prevista dalla normativa da attuare (art. 2-bis del d.lgs. 25 del 28/01/08).

Nella maggior parte dei paesi elencati è ampiamente dimostrato che esistono gravi violazioni dei diritti umani, in particolare dei diritti delle donne e delle minoranze etniche, religiose, politiche e sessuali.

Condanniamo quindi fermamente la scelta delle nostre istituzioni di ignorare informazioni provenienti da fonti riconosciute a livello internazionale e, di conseguenza, di negare gravi violazioni dei diritti umani, in violazione del dettato costituzionale e delle convenzioni internazionali.

Ci limitiamo qui a sottolineare brevemente le principali condizioni di repressione che vivono le minoranze sessuali in alcuni dei paesi oggi considerati “sicuri”:

Albania: pur in assenza di una criminalizzazione legislativa dei rapporti omosessuali, i pregiudizi contro le minoranze sessuali si traducono in frequenti discriminazioni e atti di violenza. Secondo un sondaggio condotto dal National Democratic Institute nel 2016, solo il 3% degli intervistati accetterebbe un amico o un vicino apertamente LGBTI e solo il 6% accetterebbe un familiare apertamente LGBTI.

Algeria: i rapporti omosessuali sono puniti con 3 anni di carcere. Nelle indagini, gli uomini sospettati di essere omosessuali sono sottoposti a test anali, pratiche degradanti e dolorose che la comunità medica e scientifica definisce forme di tortura. Le persone sospettate di o condannate per rapporti omosessuali subiscono spesso violenze fisiche e psicologiche da parte sia delle forze dell’ordine sia degli altri detenuti. Ma la persecuzione giudiziaria colpisce anche chi descrive relazioni omosessuali in opere letterarie. Oltre alle discriminazioni legislative, si segnala una forte ostilità sociale: solo per citare uno dei casi che hanno destato più clamore, a febbraio di quest’anno un giovane universitario è stato sgozzato nel campus Taleb Abderrahmane di Ben Aknoun (Algeri) e con il suo sangue l’assassino ha scritto la frase “Lui è gay” sulle pareti della stanza. Molte persone omosessuali sono costrette a sposarsi per nascondere il proprio orientamento sessuale agli occhi della società ed evitare discriminazioni e violenze.

Bosnia-Erzegovina: pur in assenza di una criminalizzazione legislativa dei rapporti omosessuali, i pregiudizi contro le minoranze sessuali si traducono in frequenti discriminazioni e atti di violenza. A causa delle minacce e del clima ostile, a settembre di quest’anno la prima manifestazione del Pride a Sarajevo si è potuta svolgere solo grazie alla presenza di 1.100 poliziotti, molti in tenuta anti-sommossa.

Ghana: i rapporti omosessuali sono puniti con 3 anni di carcere. Anche il “travestitismo” è considerato reato. Oltre alle discriminazioni legislative, si segnala una forte ostilità sociale, continuamente alimentata dalla stampa, dai leader politici e religiosi del paese. I pregiudizi contro le minoranze sessuali si traducono in frequenti discriminazioni e atti di violenza. E risale a pochi giorni fa l’ennesima grande campagna politica e mediatica di fake news per descrivere la comunità LGBTI come al centro di un complotto per distruggere l’identità religiosa, culturale e sociale del paese.

Kosovo: pur in assenza di una criminalizzazione legislativa dei rapporti omosessuali, i pregiudizi contro le minoranze sessuali si traducono in frequenti discriminazioni e atti di violenza. Le persone LGBTI sono condannate all’invisibilità sociale e anche le associazioni per i diritti delle minoranze sessuali operano nella clandestinità per motivi di sicurezza.
Marocco: i rapporti omosessuali sono puniti con 3 anni di carcere. Secondo fonti governative ufficiali, sono state arrestate e processate per “sodomia” 197 persone nel 2017 e 170 nel 2018. Anche nel 2019 gli arresti sono continuati: uno degli ultimi casi segnalati dalla stampa, per esempio, è avvenuto a metà settembre a Safi. Oltre alle discriminazioni legislative, si segnala una forte ostilità sociale, con numerosi casi di discriminazione e di violenza. Per limitarsi a due casi che hanno avuto larga eco, a marzo del 2018 c’è stato un tentato linciaggio a Tangeri e a maggio del 2019 un uomo ha subito vicino a Tafraout un’aggressione di gruppo, che è stata anche filmata dagli aggressori.

Senegal: i rapporti omosessuali sono puniti con 5 anni di carcere. Gli arresti sono frequenti, come dimostra, per esempio, un caso riportato dalla stampa a metà settembre. Oltre alle discriminazioni legislative, si segnala una forte ostilità sociale, con numerosi casi di discriminazione e di violenza. Varie organizzazioni sociali e religiose hanno organizzato manifestazioni contro le persone LGBTI, raccogliendo grandi adesioni nella popolazione. Tutti i principali leader politici, tanto nella maggioranza al governo quanto nell’opposizione, alimentano sentimenti ostili alle minoranze sessuali e vere e proprie teorie complottiste.

Tunisia: i rapporti omosessuali sono puniti con 3 anni di carcere. Nelle indagini, gli uomini sospettati di essere omosessuali sono sottoposti a test anali, pratiche degradanti e dolorose che la comunità medica e scientifica definisce forme di tortura. Le persone sospettate di o condannate per rapporti omosessuali subiscono spesso violenze fisiche e psicologiche da parte sia delle forze dell’ordine sia degli altri detenuti; inoltre spesso i detenuti omosessuali e transgender sono costretti a prostituirsi per ottenere cibo. Oltre alle discriminazioni legislative, si segnala una forte ostilità sociale, con numerosi casi di discriminazione e di violenza. Le persone LGBTI che denunciano le violenze subite, rischiano di essere arrestate al posto degli aggressori. Inoltre, il governo ostacola l’azione e l’esistenza stessa delle associazioni che si occupano dei diritti delle minoranze sessuali. La frequenza dei casi di persecuzione, arresto e tortura a causa dell’identità sessuale ha spinto vari membri dell’Europarlamento a lanciare un appello a gennaio di quest’anno.

Ucraina: pur in assenza di una criminalizzazione legislativa dei rapporti omosessuali, i pregiudizi contro le minoranze sessuali si traducono in frequenti discriminazioni e atti di violenza. La situazione, secondo quanto testimoniano organizzazioni per i diritti umani locali e internazionali, ha continuato a peggiorare negli ultimi anni, con un forte aumento delle aggressioni, in particolare da parte di gruppi di estrema destra. La polizia non solo spesso non interviene a difesa delle persone LGBTI, ma in alcuni casi ha attaccato ingiustificatamente locali frequentati da omosessuali. La profonda insicurezza vissuta dalle minoranze sessuali nel paese è stata denunciata anche dall’esperto indipendente delle Nazioni Unite per la protezione contro la violenza e la discriminazione basate sull’orientamento sessuale e l’identità di genere a maggio di quest’anno.

Alla condanna culturale e sociale in molti di questi Paesi si aggiunge la condanna religiosa, che, indipendentemente dal fatto che si traduca in norme di legge o meno, favorisce le persecuzioni e giustifica le violenze di genere o in base all’orientamento sessuale e l’identità di genere.

Ricordiamo che per le persone richiedenti asilo provenienti da un “paese di origine sicuro” si applicherà una procedura accelerata, in cui la persona richiedente asilo dovrà provare in tempi brevissimi le discriminazioni e le violenze subite, e il diniego alla loro domanda rischia di limitarsi ad affermare che lo stato di provenienza fa parte della lista stilata nel decreto ministeriale. A questo si aggiunge l’assenza dell’effetto sospensivo per l’eventuale ricorso: pertanto al primo diniego scatterà l’espulsione.

Ci chiediamo come sia possibile che persone in fuga e richiedenti asilo possano documentare l’eccezionalità della propria situazione individuale in tempi così brevi. Inoltre si evidenzia come la scarsa conoscenza dei propri diritti garantiti dalle leggi italiane, il senso di vergogna profondamente radicato sin dall’infanzia, la paura di essere rifiutati e discriminati proprio a causa della propria “diversità”, la necessità di affrontare la propria stessa identità renda estremamente arduo il percorso che porta una persona LGBTI o vittima di tratta o di violenze di genere a raccontare il proprio vissuto.

Questa difficoltà è ovviamente molto maggiore proprio per chi proviene dai paesi in cui i pregiudizi omotransbifobici sono più forti o in cui le leggi releghino a ruoli subordinati le donne. Lo stesso vale per  le vittime di tratta e le vittime di violenze di genere: le loro domande di protezione verranno respinte perché la nuova normativa ignora il fatto che spesso la denuncia dello sfruttamento avviene al termine di un percorso di “rassicurazione” contro le minacce subite. Le nuove norme rischiano paradossalmente di colpire soprattutto le persone vulnerabili che più avrebbero diritto alla protezione internazionale.

Per questo chiediamo con forza che il decreto ministeriale del 4 ottobre 2019 venga sospeso in attesa di una indicazione normativa che verifichi e rispetti gli elementi e le informazioni in base ai quali valutare ogni Stato prima di consideralo “sicuro” a tutela del diritto di asilo così come indicato  nell’art. 10, c. 3, della nostra Costituzione, che prevede che “lo straniero, al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto di asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge”.