“L’Italia nel bicchiere”. Il riscatto dei “Vitigni Poveri”

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Ben ritrovati a tutti voi. In questo terza tappa dell’itinerario intrapreso nell’Italia del vino, vorrei parlarvi in generale del vero e proprio “riscatto” che hanno avuto in questi ultimi anni i cosidetti “Vitigni Poveri”.

Come già accennato, essendomi avvicinato al mondo del vino nel 1979, sono in grado partire da lontano in quanto, anno per anno, ne ho condiviso la crescita, l’evoluzione, i cambiamenti e le mode.

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Roberto Beccaria

L’attuale vitivinicoltura in Italia nasce, approssimativamente a metà Anni ’80, dalle ceneri del periodo più nefasto della nostra storia enologica (fillossera esclusa): lo scandalo del vino al metanolo che, contrariamente a quanto fanno le nazioni concorrenti in casi analoghi , è stato ampliato ed enfatizzato oltre ogni limite arrecando un enorme danno all’economia e all’immagine del settore.

In questo contesto, a cui si è aggiunto un drastico calo dei consumi di vino, che in Italia è letteralmente dimezzato in pochi anni, la rinascita del settore è stata molto lenta e faticosa.

Grazie alla volontà, alla tenacia, ma anche all’esemplare maestrìa di un folto gruppo di “Produttori Vignaioli” che hanno intuito che era l’ora della “svolta”, si è lavorato sodo per oltre un decennio per migliorare la qualità dei nostri vini anche allo scopo di conquistare quei mercati esteri, dove praticamente ci conoscevano per il Chianti col caratteristico fiaschetto, il Lambrusco ed il Prosecco perché frizzanti ed economici e magari il Frascati per la vicinanza alla capitale.

Già alla fine degli Anni ’90 la qualità generale dei vini e l’immagine di tutto il movimento era radicalmente cambiata. Nonostante molte scelte discutibili, l’indiscriminato uso e abuso delle barriques e l’eccessiva introduzione dei vitigni internazionali (ChardonnayPinot grigioCabernetMerlot ), si riusciva finalmente trovare sul mercato prodotti generalmente interessanti e buoni.

Dopo qualche anno c’è stata un’ulteriore svolta, presa coscienza che si andava verso “globalizzazione” anche nel mondo del vino, si è cominciato a valorizzare quell’immenso patrimonio che sono le centinaia di uve “autoctone” inserite in un contesto geografico davvero unico. Pensate , dalle zone pedemontane di Val d’Aosta, Valtellina o Alto Adige fino ad arrivare alle isole minori come Salina e Pantelleria, passando per le zone semipianeggianti di Veneto ed Emilia , quelle collinari di Toscana, Marche, Abruzzo e quelle mediterranee di Puglia, Sicilia e Sardegna, scusate se è poco!

uvaEccoci approdati all’attualità del momento vitivinicolo, dove c’è questa continua riscoperta e valorizzazione di vitigni autoctoni che frequentemente venivano utilizzati per produrre vini mediocri oppure per i cosidetti “vini da taglio” o , in diversi casi , venivano addirittura estirpati per la poca resa ed i problemi fitosanitari in vigna.

Non è più così!! Anzi, attualmente si possono annoverare fra i vini rossi più apprezzati numerosi Barbera, Montepulciano, Aglianico, Negroamaro, Primitivo o Nero d’Avola ma anche i meno famosi Ruchè, Tazzelenghe, Pignolo, Sagrantino, Cesanese, MaglioccoNero di Troia , Nerello Mascalese o Carignano. Fra i bianchi potrei citare GarganegaTocai (ora Friulano o Tai), Trebbiano, Verdicchio, Vermentino o Fiano senza dimenticare Timorasso, Ribolla, Pecorino, Falanghina o Grillo. Proprio da queste uve , come da tantissime altre , si possono produrre quegl’ottimi vini molto particolari e diversi fra di loro di cui spesso parlerò in questa mia rubrica.

Voglio concludere citandovi alcuni esempi concreti di “autoctoni”, due per ogni tipologia, che ho avuto la fortuna ed il piacere di assaggiare nel mese appena trascorso: Ribolla Spum. Cl. Millesimato – Collavini o Erbaluce “Couvè Tradizione”mill. – Orsolani Falanghina “Via del Campo”- Quintodecimo o Friulano Isonzo “la Vila” – Lis Neris Nerello Mascalese Etna r.“N’Anticchia” – Caciorgna o Negroamaro “F”- Feudi S.Marzano Nasco di Cagliari “Latinia”- Cant.Santadi o Sagrantino Montefalco passito- Rocca di Fabbri Sono dei “gioiellini” piuttosto costosi ma davvero buoni, in qualche caso emozionanti, le “bollicine” le ritengo adatte anche al pasteggio, mentre i due elegantissimi bianchi a ricette di pesce raffinato o salumi di territorio come il S.Daniele. I due vini rossi, così profondamente diversi, troverebbero un comun denominatore se abbinati ad agnello al forno oppure a Caciocavallo scottato sulla griglia .

I due passiti di enorme personalità , uno bianco ed uno rosso, vi assicuro che farebbero bella figura anche al cospetto di diversi dolci al cioccolato, per cui …..

………. assaggiare per credere Roberto Beccaria

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