Psicologia dello sport… per i genitori!

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Quando si è psicologi dello sport si interagisce con diverse figure all’interno della società sportiva: atleti, presidenti, allenatori, assistenti, preparatori, dirigenti, consiglieri, collaboratori a vario titolo e… genitori.

Soprattutto con questi ultimi lo psicologo ha sempre un canale privilegato poiché, come tante volte accade, l’ingaggio avviene proprio per gestire il rapporto con i genitori: cruciale e vitale per la salute di una società sportiva dilettantistica (e non solo).

psicologiaSe il genitore non è soddisfatto della proposta dell’ASD ovviamente si guarderà intorno e se riscontrerà malcontento anche nel proprio figlio non farà altro che… andare da un’altra parte, spesso commettendo un grave errore.

Pertanto uno psicologo che interagisca con i genitori, nella sua versione ottimale, è un ottimo presupposto per far intendere una serie di elementi positivi che vorrebbero caratterizzare la cultura societaria:

a) ci teniamo alla crescita di tuo figlio e quindi abbiamo una figura psicopedagogica specializzata

b) ci teniamo a te, per questo hai qualcuno a cui rivolgerti quando ci sono dubbi o domande

c) ci rendiamo conto che su alcuni aspetti non siamo competenti, per questo motivo abbiamo fra le nostre fila un esperto in materia.

Ciò che è interessante notare, che diventa una sfida della società sportiva, sono le molteplici e varie reazioni di ogni genitore alle differenti situazioni che possono presentarsi durante il binomio figlio-sport: una scelta societaria, una sconfitta, una vittoria, una panchina, un comportamento di un allenatore e così via, ricevono spesso le più disparate interpretazioni e, se esse non vengono canalizzate verso una direzione costruttiva, rischiano di minare la serenità ambientale.

Lo dico con cognizione di causa, innanzitutto perché quasi sempre ho un ottimo rapporto con i genitori e so riconoscerne pregi e difetti e, allo stesso tempo, comprendo le dinamiche delle società, che magari ci provano a creare un’unione d’intenti, ma che poi si infrangono sullo scoglio della comunicazione interna!

Il problema, molto spesso, è la mancanza di interazione fra le parti: il genitore ha tutto il diritto di essere informato sugli aspetti formativi di suo figlio, ma allo stesso tempo la società ha tutto il diritto di riservarsi una gestione “senza restrizioni” di quello che è il messaggio sportivo che vuole promuovere.

Pertanto è importante riuscire a definire i confini fra gli attori, creando contesti di dialogo, come è anche importante definire fasi di tacita accettazione dei ruoli.

Ho evidenziato più volte in questa rubrica i diversi aspetti su cui dovrebbero lavorare le società sportive. Ora è il momento di proporre qualche soluzione anche per i genitori.

L’argomento richiederà, molto probabilmente, più articoli, ma vorrei lasciarvi oggi con un piccolo assaggio di quello che sarà: l’esempio di John Button, padre di Jenson Button (pilota di Formula 1 e campione del mondo nel 2009). Il compianto John (scomparso il 12 gennaio 2014, ahimè…) è stato un esempio di quella che si può definire la strategia del… “ok mio figlio sta in Formula 1 ed è sicuramente in un contesto serio e difficile… ma non vedo perché non possiamo divertirci, nel frattempo!” . Mentre suo figlio sfrecciava a più di 350 all’ora, il buon John si gustava ogni attimo, ogni sensazione, ogni emozione del mondo della Formula 1. Come un piacere personale che, in fin dei conti, non si appoggiava alla fonte del figlio, ma piuttosto se ne creava una propria, indipendente da esso. In cosa si traduceva il suo approccio? In una grande serenità nel figlio Jenson, che sapeva di avere a sua disposizione un padre unico, che fondamentalmente non lo metteva in difficoltà nei momenti impegnativi con ulteriori pressioni, ma gli dava una paterna pacca sulle spalle e lo incitava a trovare la risposta più giusta secondo le sue valutazioni. Si sa, nella Formula 1 è molto difficile fare delle valutazioni oggettive, nel 2009 la Brawn GP potè godere di un notevole vantaggio competitivo nelle prime 6 gare, fattore determinante nella vittoria finale di Jenson, ma senza dubbio a tutt’oggi Button è considerato uno dei piloti più bravi nella gestione della pressione: sia dei fattori tecnici come gomme, vetture, variazioni meteo; sia degli aspetti emotivi, come la presenza di compagni scomodi (vedi il caso di Hamilton, di cui è stato compagno senza affatto sfigurare, anzi, mettendolo in crisi nella maggior parte delle gare disputate con la stessa vettura).

Ed io sono pronto a scommettere che parte del merito, oltre al talento nella guida, sia da attribuire anche all’ottimo lavoro svolto dal buon John.

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Dott. Mauro Lucchetta – Psicologo dello Sport

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2013

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4 febbraio – Perchè un atleta dovrebbe scegliere la mia squadra e non un’altra

21 gennaio – Rapporto fra allenatore e giocatori: psicologia nello sport con le 3 P

13 gennaio – Il rapporto fra allenatore e giocatori: comunicazione, valori e… psicologia

7 gennaio 2013 – Cultura della società sportiva vs atleti: “Qualcuno chiami lo psicologo dello sport!”

 

2012

24 dicembre – Psicologia dello Sport per non sportivi (ma che vorrebbero diventarlo) Fase 5

16 dicembre – Psicologia dello sport per non sportivi (ma che vorrebbero diventarlo) Fase 4

9 dicembre – Psicologia dello Sport per non sportivi (ma che vorrebbero diventarlo) Fase 3

2 dicembre – Psicologia dello sport per non sportivi (ma che vorrebbero diventarlo) Fase – 2

25 novembre – Psicologia dello sport per non sportivi (ma che vorrebbero diventarlo) Fase 1

18 novembre – Psicologia dello sport negli sportivi autodidatti

11 novembre – Vorrei affidarmi alla psicologia dello sport ma…

4 novembre – Psicologia dello sport e coraggio

28 ottobre – Il tifo da stadio? Te lo spiega la psicologia sociale

21 ottobre – Aspetti psicologici degli sport estremi

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30 settembre – Maledetto infortunio, la psicologia dell’atleta in stand-by

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27 febbraio – Introduzione alla psicologia dello sport