Quando un amore muore…!

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“Quando un amore muore si porta via con sé milioni di parole e fantasie…” cantava Enrico Ruggeri in Neve al sole.

Poche parole che rendono l’idea di quella che è la sensazione più forte che viene percepita quando una relazione di coppia, nata per avviarsi verso il “per sempre”, vede la fine di una progettualità, di un dialogo che snoda la sua storia dal passato ma si ferma nel presente senza avere possibilità di crescere nel futuro.

La percezione di questa fine, che diventa anche dolore fisico oltre che dolore dell’anima, è di un vuoto grande, legato non tanto alla persona amata in sé, alla sua presenza concreta, quanto al bagaglio di esperienze fatte insieme, ai progetti rimasti in sospeso, alle aspettative mancate.

Si, perché quando una relazione finisce, le persone concrete hanno già smesso di esistere da tempo. Il loro posto è stato preso dalle piccole e grandi mancanze della quotidianità, dai rancori, dalle insoddisfazioni che a poco a poco si annidano nella coppia e minano il legame, facendo saltare quei punti di riferimento che avevano fatto si che la coppia si formasse.

Quando una relazione finisce, la frustrazione per ciò che non si è potuto realizzare, per i desideri rimasti incompiuti, spesso si trasforma in rabbia che a sua volta può diventare desiderio di distruzione, o di se stessi, o dell’altro.

Non ci sono differenze sostanziali tra uomini e donne, il livello di sofferenza, incredulità, negazione, disperazione, può essere molto alto sia negli uni che nelle altre. Può esserci una differenza tra chi è parte attiva e chi è parte passiva, tra chi sente come progressivamente inarrestabile l’esaurirsi della fiamma dell’amore e agisce e chi, invece, vive la fine come evento improvviso e traumatico, imposto dall’altra persona e subisce.

Nel primo caso il senso di vuoto diventa molto velocemente estraniazione, qualcosa che non si riconosce come proprio e che si cerca di allontanare: l’amore per quella persona è un involucro che non contiene più nulla, quindi inservibile, quasi un peso di troppo del quale liberarsi al più presto.

Nel secondo caso, al contrario, si cerca di trattenere il più possibile la persona amata, anche quando si nega a noi: si collezionano pezzi di dialoghi, speranze, illusioni, parole dette o lasciate intendere. Fino al momento del rigetto dell’altro, quello del grande falò per intenderci, ci si attacca ad ogni scampolo del passato amore, che, per quanto disperato e cocente in chi lo sta ancora vivendo, diventa quasi come un feticcio, in grado di restituire le illusioni di felicità e di appagamento.

È in questo contesto che si consuma il dramma della fine di una relazione di coppia.

Solo qualche volta l’epilogo viene scritto senza spargere troppo sale sulle ferite.

Altre volte, invece, il desiderio di possesso dell’altro, l’angoscia del fallimento, l’ansia di ricominciare tutto da capo diventano una vera e propria persecuzione e richiedono l’intervento di avvocati e giudici che possano dare un prezzo ai desideri non realizzati, almeno a titolo di risarcimento per un futuro sottratto. Sono le separazioni più difficili, quelle dove non si risparmiano colpi. Le emozioni che avevano fatto crescere la coppia si aggrovigliano e si trasformano in un unico nodo di rabbia.

Sciogliere questo nodo, ritornare a dare il nome a ciascuna emozione provata può essere l’inizio di un percorso ripartivo.

Talvolta si riesce da soli, talvolta è necessario farsi sostenere e aiutare da qualcuno. In ogni caso è il primo passo, quello indispensabile per sganciarsi dall’evento-separazione e ritrovare le parole che permetteranno di progettare un nuovo futuro.
Dr. Luigi Baggio – Psicologo-
Per info scrivere a : segreteria@figlipersempreonlus.org – chiamare 0331 28 23 80

 

 

 

 

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