Da Bergamo l’abbraccio di don Roberto e don Matteo: “Questo virus ci migliorerà”

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Don Roberto Trussardi e don Matteo Bartoli

Intervista a don Roberto Trussardi e don Matteo Bartoli, entrambi a Bergamo dopo anni trascorsi in Valle San Martino

“Due settimane fa la situazione qui era drammatica. Ora si intravede uno spiraglio di resurrezione”

 

CALOLZIOCORTE – Hanno percorso insieme a tutti noi, per anni, le strade e le storie della Valle San Martino, diventandone un punto di riferimento. L’uno, don Roberto Trussardi, come infaticabile parroco delle parrocchie di Vercurago e Pascolo, e vicario dell’intera valle fino al 2018; l’altro don Matteo Bartoli come dinamico e mai domo coadiutore della parrocchia del centro di Calolzio fino all’anno scorso. Trasferiti entrambi a Bergamo, con incarichi diversi, dal vescovo Monsignor Francesco Beschi, i due sacerdoti, diventati amici fraterni negli anni trascorsi sotto il mantello di San Martino, si sono ritrovati anche stavolta uniti ma distanti nell’affrontare l’emergenza coronavirus, uno “tsunami” dalle proporzioni gigantesche che si è abbattuto con violenza soprattutto nella bergamasca, la loro terra di origine e la loro terra di vocazione.

Bergamo, una città martoriata dal virus

Don Roberto, responsabile della Caritas diocesena, è in giro tutto il giorno, con mascherina e guanti di ordinanza, per tenere monitorate le conclamate povertà e intercettare quelle nuove. Don Matteo invece, è confinato nella sua casa in città Alta con un telefono che “brusa” tra chiamate, messaggi, mail e richieste di ascolto.
“La situazione era drammatica 15 – 20 giorni fa – ci hanno raccontato entrambi durante una videochiamata a tre – . Oggi intravediamo piccoli spiragli di resurrezione. Certo la gente è giustamente preoccupata, ma non ancora disperata. Chiaramente in tutto ciò incide anche quanto il virus abbia colpito da vicino, andando a scardinare e devastare famiglie e comunità”. A Valtesse, quartiere di Bergamo dove don Roberto è collaboratore parrocchiale, in un mese si sono registrati 18 morti quando la media annuale è di 30. A Bergamo Alta il virus ha colpito percentualmente meno, ma la piazza Vecchia desolatamente vuota rispecchia alla perfezione l’altra faccia della medaglia del distanziamento sociale imposto per contenere la diffusione dell’epidemia.

Don Roberto Trussardi, ex parroco di Vercurago e Pascolo

Una situazione surreale

“La situazione è surreale, sospesa. Probabilmente ne usciremo definitivamente solo quando verrà trovato il vaccino oppure verranno individuate delle cure. Come ne usciremo è una bella domanda”. La speranza è che questa crisi sanitaria, dagli indubbi risvolti sociali ed economici, possa servire per far riscoprire una dimensione più autentica ed essenziale a ciascuno di noi.

“O quanto meno a ricalibrare alcune nostre attenzioni che di solito abbiamo e diamo per scontate”. Mai come in questi giorni semplici domande “Come stai?”, “Va tutto bene?” stanno assumendo un valore profondo e sincero, lontano dalla convenienza. “Questo tempo sospeso e incerto sta facendo riscoprire a molti il valore di una semplice telefonata ai propri cari. E questo è un dato che ci deve fare riflettere sicuramente”.

Una Pasqua diversa dal solito

Tra pochi giorni sarà Pasqua, la festa della Resurrezione da celebrare però lontano dai fedeli. “Sarà una Pasqua diversa, originale, alternativa. Certo manca e mancherà la dimensione comunitaria della celebrazione. E’ quello che si vede anche per quello che riguarda i funerali, soppressi per esigenze sanitarie. La mancanza del rito religioso sta costituendo un vuoto immenso anche per chi non è credente o non è praticante”. Impossibile non andare con il pensiero a quelle immagini, scioccanti, della carovana di carri dell’esercito contenenti le salme di bergamaschi portati fuori regione per la cremazione. “Ero in giro per strada la seconda volta che è successo – confida don Roberto – . E’ stata una cosa straziante. Del resto qui a Bergamo nessuno è uscito sul balcone a cantare. Qui il virus ha colpito in maniera impietosa, così come ha fatto poi a Brescia e a Cremona”. Tantissimi i sacerdoti morti per le conseguenze dell’infenzione da covid 19, tra cui anche diversi, come don Mariano Carrara, don Giuseppe e don Silvano che avevano o che prestavano (è il caso di don Adriano) il loro ministero sacerdotale in Valle San Martino.

Don Matteo Bartoli

“La Valle San Martino nel cuore”

“Abbiamo visto che anche lì ci sono stati molti contagi con numeri più alti rispetto ad altre zone della Provincia di Lecco. Quello che possiamo dire che portiamo la Valle San Martino sempre nel cuore, seguendone le vicende. Ci fa piacere essere riusciti a mantenere, anche a distanza, un legame anche e soprattutto in queste settimane di emergenza”. Giorni difficili, sempre maledettamente in salita. Don Roberto ha dovuto anche trascorrere due settimane in isolamento essendo entrato in contatto con una persona positiva al covid 19. Poi, una volta ottenuto il via libera, è tornato in strada.

Povertà in aumento

“Le povertà sono aumentate subito. Come Caritas seguiamo 277 famiglie nuove mentre i senza tetto ospitati in strutture fisse sono aumentati di 35”. Per far fronte alle nuove emergenze sociali di questa crisi, il Vescovo di Bergamo ha chiesto ai suoi sacerdoti di rinunciare a tre mensilità. “Ma da questa crisi economica non se ne esce se l’Unione europea non dà finanziamenti e contributi. Impossibile restare in piedi da soli”. I due sacerdoti intravedono un altro rischio, questa volta, sociale, legato alle conseguenze del coronavirus. “Abbiamo paura che resti la paura dell’altro anche una volta usciti dall’emergenza sanitaria. Del resto, già si parla di mantenere nella fase due, il distanziamento sociale”.

L’augurio è che questo virus ci insegni qualcosa

Per ora però la crisi sta mettendo in luce anche aspetti belli, di solidarietà sincera e gratuita. “Dalle parrocchie che si organizzano per portare i pasti a domicilio al vicino di casa che va a fare la spesa per la famiglia del pianerottolo a fianco – aggiunge don Matteo – . Sta emergendo una solidarietà diffusa che riscalda il cuore”. Tante facce della stessa medaglia che portano a riflettere su come sarà la nostra società dopo, una volta usciti da questa pandemia. “L’augurio è che questa vicenda ci insegni qualcosa – concludono all’unisono -. Abbiamo pianto la morte di un’intera generazione di anziani. Questo non può lasciarci indifferenti e farci ripartire come se nulla fosse”.