Panathlon. Il trapianto è vita, testimonial attraverso lo sport

Tempo di lettura: 4 minuti

Nei giorni scorsi lo speciale intermeeting tra i tre gruppi di Como, Sondrio e Lecco

Al centro della conviviale l’importanza del dono. Storie di sportivi che sono tornati a vivere

LECCO – “Finalmente ci troviamo tutti insieme: Como, Sondrio e Lecco”. Così Riccardo Benedetti, presidente del Panathlon Club di Lecco, ha aperto lo speciale intermeeting tenutosi mercoledì 15 maggio tra i tre gruppi di Como, Sondrio e Lecco.

Tema della serata, sport e trapianto. “Il Panathlon ha il compito di diffondere lo sport per tutti, e dunque anche per i trapiantati” ha spiegato il presidente del Panathlon Club di Sondrio, Angelo Schena. Il numero uno del sodalizio comasco, Achille Mojoli, si è detto “entusiasta” nel vedere la sala dell’hotel Pontevecchio di Lecco così gremita.

Tra i relatori della conviviale Enrico Dell’Acqua, Giovanni Monteneri e Beniamino Tagliabue, tutti e tre trapiantati. Il moderatore Edoardo Ceriani, giornalista, ha introdotto il dibattito dando la parola ad Enrico Dell’Acqua, trapiantato di fegato e ora ciclista navigato, che ha ricordato quanto sia importante il dono di un organo perché “è un gesto sacro che trasforma la propria morte in vita”.

E lui è l’esempio vivente della rinascita: secondo i medici sarebbe sopravvissuto solo 6 mesi, ma la sua forza di volontà gli ha consentito di ottenere un fegato nuovo senza alcun rigetto. Ora è un ciclista “sfegatato” e da 14 anni non perde nemmeno un’edizione della maratona delle Dolomiti: “Il trapianto è un atto d’amore senza fine – ha spiegato – e lo sport aiuta a rinascere”.

Giovanni Monteneri ha invece subìto un trapianto di rene: “Il mio sogno era partire per l’esercito e diventare carabiniere – ha ricordato – ma purtroppo questa illusione si è infranta a soli 20 anni, quando ho scoperto di avere un cancro”.

Dal 1986 al 1991 si sono alternati momenti di alti e bassi, finché è riapparsa la luce con il trapianto. “Non è solo una rinascita personale – ha spiegato – ma anche familiare e sociale”. Giovanni ora, oltre ad essere sportivo, cerca di diffondere la cultura del dono, perché “nessuno è immune, potrebbe capitare a chiunque. E lo sport permette di veicolare questo messaggio unendo l’utile al dilettevole”.

Beniamino Tagliabue, invece, vive grazie a un cuore nuovo: “In questi 8 anni la mia missione è quella di coinvolgere, attraverso lo sport, il maggior numero di persone a tutti i livelli – ha spiegato – al donatore non costa nulla. Pensare che una persona cerebralmente morta possa, in un certo senso, continuare a vivere in altre persone che lottano tra la vita e la morte, è meraviglioso”.

Il dottor Alessandro Lucianetti, chirurgo dei trapianti con esperienza trentennale nel settore, si è soffermato sugli aspetti pratici del trapianto, sintetizzando la sua attività avviatasi al Policlinico di Milano, uno dei primi centri specializzati. E anche lui, come i suoi pazienti, si prodiga a diffondere il “messaggio del dono” pedalando.

Stefano Righetti, cardiologo e medico dello sport (tra i suoi adepti anche la nazionale di Triathlon), si è invece soffermato sull’aspetto umano del trapianto: “per i trapiantati la pratica sportiva non solo è indispensabile per riacquistare fiducia in sé stessi, ma è fondamentale anche per migliorare la qualità della loro seconda vita”.

E alla domanda “Quanto sono da stimolo, per voi, i pazienti?” la risposta dello specialista è stata “Moltissimo, perché ci permettono di perfezionare sempre più le nostre ricerche”.

“Questa è la dimostrazione che lo sport serve e fa bene” ha invece chiosato Roberto Nigriello, assessore allo sport del comune lecchese, sottolineando l’importanza di indicare, al momento del rinnovo della carta d’identità, la volontà di donare i propri organi.

“Il problema maggiore sono le 9000 persone in lista d’attesa” – ha ricordato Giovanni Ravasi, presidente regionale dell’Aido – sono solo 3000 i trapianti effettuati in un anno,
e in questi 365 giorni 500 persone perdono la vita, in attesa di un organo”.

L’Italia conta 45 mila trapiantati ed è al primo posto per quanto riguarda la qualità del trapianto, ma a livello culturale c’è ancora tanto da lavorare. Su 60 milioni di abitanti, solo in 5 milioni hanno aderito alla proposta “una scelta in comune”, ovvero esprimere la propria volontà al momento del rinnovo della carta d’identità.

“Lo sport è lo spirito che unisce Aido e Panathlon – ha concluso Riccardo Redaelli, consigliere regionale di Aido Lombardia e socio del Panathlon Club di Sondrio – ed è fondamentale per la diffusione della cultura del dono. Il trapianto è una ragione di vita”.