Merate, il saluto del sindaco agli studenti del Collegio Villoresi

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Il preside ha consegnato agli studenti il diario dell’anno intitolato: “Giorni mitici con Telemaco”

La lettera di Stefano Motta, negli insoliti panni di padre Odisseo, per spronare gli studenti a farsi maestri per chi incontreranno sulla loro strada

MERATE – Il tour del sindaco Massimo Panzeri nelle scuole della città ha fatto tappa questa mattina, venerdì, anche al collegio Villoresi.

Il primo cittadino ha voluto salutare e augurare buon anno scolastico anche agli studenti della scuola primaria e della secondaria di primo grado dell’istituto paritario meratese, conosciuto storicamente come Dame Inglese.

Semplici e dirette le parole del sindaco, affiancato dal preside Stefano Motta che proprio oggi ha voluto consegnare ai suoi studenti il diario che accompagnerà gli alunni durante tutto l’anno scolastico.

Eloquente il titolo scelto: “Con Telemaco, giorni mitici”. E incisiva la prefazione del preside che ha deciso di vestire gli insoliti panni di padre Odisseo scrivendo una bella lettera, che proponiamo integralmente, rivolta al figlio.

Ecco il testo della lettera

Figlio mio Telemaco,
il tempo della profezia del vecchio tebano Tiresia è giunto: è ora che prenda le mie cose e parta. “Di nuovo?” Mi chiederai. Di nuovo, Telemaco.
Forse non sono stato un buon padre, né il maestro migliore che tu potessi avere, ma ero e sono il tuo, e ho cercato di insegnarti il poco che so e che sono.
Ti ho lasciato giovinetto per andare a riprendere Elena di Sparta a Troia, ti ho ritrovato uomo, dopo vent’anni, e anche lì c’era una battaglia da combattere, per riconquistare casa nostra, Itaca, e difendere tua madre Penelope. E adesso ti lascio di nuovo. Ormai sei un uomo: un padre sa quando suo figlio può camminare con le proprie gambe. Un maestro sa quando fare un passo indietro e lasciare strada ai suoi allievi. Un maestro che non si ritira non è un buon maestro.
Alla scuola della vita, la mia più travagliata di quello che forse avrei voluto, ho imparato che le vittorie sono amare quando producono la sofferenza degli altri. Nonostante gli anni passati, di notte ho ancora nelle orecchie le urla delle donne e dei bambini di Ilion in fiamme, e mi chiedo se davvero il mio cavallo sia stata un’idea così geniale.
Ho imparato che la vita è fatta anche di sconfitte. E di perdite. E che comunque va avanti. Va avanti non perché noi ci sforziamo di apparire forti, resoluti, ottimisti: va avanti perché il tempo scorre e le Parche filano, comunque. E allora tanto vale affrontarla a schiena dritta. Sotto le Porte Scee a Ilion ho visto morire Ettore, ma a schiena dritta, non più fuggendo di fronte ad Achille. Nonostante fosse un avversario di noi Achei, ho ammirato in quel momento più la dignità del figlio di Priamo che la tracotanza di quello di Peleo.
Ho imparato che da soli non si va da nessuna parte. Ho sempre tenuto ai miei uomini, mi sono sempre sforzato di risollevarli dalle loro debolezze, e dai loro errori. Li ho sentiti e voluti miei anche quando le malie di Circe li avevano abbrutiti, o il fior di Loto li aveva così alterati da non riconoscersi più: senza i miei compagni nemmeno io sarei stato più io. Non si lascia indietro nessuno.
Ho imparato che le radici sono importanti, che ogni frustata del destino produce un dolore meno feroce se uno ha qualcosa cui attaccarsi, un tronco di legno nei flutti del mare sbattuto da Poseidone, il ricordo di una moglie e di un figlio da rivedere ad ogni costo, una casa, in cui avere la libertà di essere davvero nessuno, e di sapersi importante.
Ho imparato che ci sono battaglie che un padre e un figlio, un maestro e un allievo devono combattere fianco a fianco. E mentre scacciavamo i Proci ho sentito, come sento ora il vento forte che sa di salsedine, la tua forza accanto a me. Un figlio si affida a suo padre, ma anche un padre si affida a suo figlio, come un maestro, che impara mentre insegna.
Riparto di nuovo Telemaco. E anche tu, figlio mio, continua a fare la tua strada: hai preso il largo, e sei divenuto uomo. Hai avuto buoni maestri, tua madre, il buon Mentore, io, anche se poco, e tardi. Fatti anche tu maestro per chi incontrerai, e gli sforzi di noi tutti non saranno stati vani.
Tuo padre, Odisseo

Stefano Motta