Sport e covid. Le riflessioni di un allenatore: “Ecco cosa ci ha portato via il virus”

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L'allenatore Sandro Marongiu con i suoi piccoli atleti in una foto di qualche tempo fa

Al termine di quest’anno strano e difficile le considerazioni di Sandro Marongiu

Il valsassinese da molti anni è impegnato come allenatore nel mondo dell’atletica

LECCO – Di seguito pubblichiamo alcuni spunti di riflessioni di Sandro Marongiu, ex atleta e oggi allenatore nel mondo dell’atletica. Sotto la sua ala, negli anni, sono cresciuti talenti del calibro di Michele Fontana. Tante le società con cui collabora dall’Atletica Lecco al Team Pasturo. Proprio al termine di questo 2020 martoriato dalla pandemia ha deciso di mettere nero su bianco alcune riflessioni da allenatore/educatore su come ci ha cambiati e cosa ci ha tolto questo virus.

“Purtroppo quest’anno sarà ricordato per molto tempo e ho paura che ci vorrà ancora un po’ di tempo per ritornare alla normalità. Parto da lontano e voglio raccontarvi la mia
esperienza come allenatore, ma quello che mi più mi preme è raccontare l’esperienza da educatore a livello giovanile che ritengo sia molto più importante.

Un’esperienza che negli anni mi ha fatto crescere. Tutto inizia quando un mio atleta semiprofessionista, in un momento di difficoltà per infortunio, decide di dedicare il suo tempo ai giovani del suo paese e mi coinvolge nel suo progetto, lui è assessore allo sport, ha iniziato a fare sport sin da bambino, ha coronato il suo sogno di diventare atleta arruolato in un corpo militare per fare quello che gli è sempre piaciuto e, sulla spinta della sua esperienza, inizia a organizzare corsi per i ragazzi delle elementari. Grande entusiasmo da parte di tutti e da lì nasce l’idea di creare un settore giovanile di atletica da affiancare al gruppo maggiore dedito alla corsa in montagna nato da qualche anno. Un’idea ‘sposata’ con
entusiasmo dal presidente e che ad inizio anno scolastico successivo, prova a partire
mettendo le basi organizzando una festa che coinvolge i ragazzi.
Si parte, una quindicina rispondono all’appello, dopo pochi mesi sono diventati più
di 20 e in pochi anni il settore giovanile arriva a contare quasi 50 atleti; cresce
l’entusiasmo col crescere dei risultati, si arriva ai giorni nostri, vice campioni
provinciali, vice campioni regionali… manca poco alle finali nazionali e l’adrenalina
cresce. Purtroppo tutto si ferma all’improvviso e all’orizzonte non si intravede la luce.

Lo stop, la ripartenza, il successivo stop

A fine marzo arriva il primo stop, il coronavirus impone la sospensione di tutte le attività,
troppo alta la paura per una cosa che non si conosce ma che sta mietendo vittime in
tutto il mondo… Ci si ferma, niente gare e niente allenamenti, i giorni, le settimane
e i mesi passano e noi sempre fermi. Finalmente prima delle vacanze si prova a
ripartire, ricominciamo ad allenarci ma il gruppo non è più numeroso come prima, alcuni
ragazzi si sono accorti che a correre si fa fatica, arrivano solo qualche volta, altri non
vengono più agli allenamenti. Andiamo avanti con quelli che ci sono, tanto ci sono le vacanze di mezzo e dopo ripartiremo come tutti gli altri anni più numerosi di prima. Purtroppo dopo una prima fase di semi normalità fatta di allenamenti e gare, la
seconda ondata ci costringe a uno nuovo stop.

Ripartiamo di nuovo, ma abbiamo perso quasi tutto

Appena il DPCM ci permette di spostarci da un comune all’altro per fare attività sportiva proviamo a ripartire, siamo in pochi. Con amarezza mi sono accorto che quanto costruito faticosamente negli anni, è crollato come un castello di carte. Paura? Poca voglia di far fatica? Mancanza di stimoli? Tante domande alle quali si tenta di dare risposte.

Le mie considerazioni

In questo periodo, mi capita spesso di immedesimarmi nei genitori dei ragazzi (sono padre anche io) cerco di capire le loro paure. I ragazzi che fanno didattica da casa, è come se fossero chiusi in una prigione dorata che ti mette al sicuro dal rischio esterno ma sempre di una prigione si tratta. Le mie riflessioni trovano conferma in una risposta di una mamma ad una mia lettera aperta sulla chat del nostro gruppo. ‘I ragazzi sono diventati, svogliati – dice la mamma -. Si alzano al mattino perché devono fare didattica a distanza, restano in pigiama e mettono sopra la giacchetta della tuta, sono lì presenti fisicamente ma la testa è altrove. Manca il contatto fisico, mancano gli amici, manca la solita vita che erano abituati a condurre, il contatto con la maestra. Certo, lei è sempre lì ma dietro lo schermo è solo una voce che parla, a volte monotona. E se in presenza quando si accorgeva che non l’ascoltavi ti riprendeva, ora e lì che parla e tu sei dall’altra parte, certamente davanti al pc, ma magari distratto dallo smartphone’.
Insomma, in questa situazione trovo sbagliato che ai ragazzi venga concesso di saltare gli allenamenti, non tanto per l’allenamento mancato ma per un momento di insegnamento perso. Non tutti potranno diventare campioni, ma sicuramente quello che faranno e quello che gli verrà insegnato, sarà importante per tutta la vita: imparano a crescere e ad affrontare i problemi, non si tireranno indietro quando si troveranno di fronte un ostacolo perché avranno imparato a non arrendersi e a provare a superarlo. Credo che questo sia il mio compito: non formare campioni (ovviamente fa piacere quando ci si riesce) ma far crescere ragazzi che un domani diventeranno il pilastro portante della nostra società.

Un pensiero rivolto ai genitori

Nella mia lunga esperienza ho visto alcuni genitori che spingono i loro figli a fare imprese da grandi… Mio figlio è salito in Grigna in 2 ore a 6 anni, il mio ha fatto la discesa della pista di coppa del mondo di discesa a 5 anni, il mio ha fatto 10 km in 40’… imprese strabilianti che però danno più soddisfazioni ai genitori che ai figli.
Da qui parte la mia considerazione: è più giusto o corretto avere un figlio che emerge in un contesto di confronto tra tantissimi ragazzini della sua età oppure è meglio essere uno dei pochi che riesce a fare una determinata cosa?” Cosa voglio dire ai genitori? Io da padre di famiglia, quando prendo un impegno, o meglio, quando i miei figli prendono un impegno, cerco di insegnargli a portarlo avanti. Se ci sono dei giorni in cui hanno allenamento, devono programmarsi col resto perché quei giorni, ci sono delle persone che investono del tempo per dedicarsi a loro, ti insegnano che le difficoltà vanno affrontate e non rimandate a domani o alla prossima volta. Ti faccio capire che anche se pensi di non riuscire a fare una determinata cosa ci devi comunque provare. Solo così un domani sarai pronto ad affrontare la vita che, si sa, crescendo porta responsabilità e problemi sempre maggiori. Adesso, invece, per proteggerli acconsentiamo a tenerli a casa, nelle loro comodità, in quella prigione dorata in cui non gli facciamo mancare nulla, ma sempre di prigione si tratta. Facciamoli ritornare a vivere la loro vita nella normalità, insegniamo a mantenere fede agli impegni presi e non assecondiamo tutti i loro ‘capricci’.
Per concludere vorrei condividere ancora una storia che, per quanto mi riguarda, rappresenta il miglior ringraziamento per quello che sto facendo. Era prima delle ferie e arriva al campo di allenamento il padre di una ragazza che già corre, e corre forte, in un’altra società, mi dice “mia figlia vuol smettere di correre e sinceramente a me spiace perché anche la sorella maggiore ha fatto la stessa scelta. Vorrei provare a farle cambiare ambiente per vedere se riesce ad avere nuovi stimoli”. Io ho sempre pensato che quando un ragazzo smette di correre, noi allenatori siamo i primi responsabili e lo considero un fallimento perché vuol dire che non sono riuscito a trasmettergli tutta la passione di cui aveva bisogno. Quindi alla richiesta del padre la mia disponibilità è immediata. Passano le vacanze, la ragazza inizia a venire agli allenamenti. Sono passati solo pochi mesi e pochi allenamenti ma nei suoi occhi vedo attenzione agli insegnamenti, capisco che fa fatica perché aveva mollato e ora sta riprendendo, anche se più sei forte e più fatica farai a riprendere. Ieri mattina ci siamo ritrovati a fare allenamento, alcune parole prima e
altre dopo per farle apprezzare i miglioramenti dell’allenamento stesso, un saluto e l’appuntamento per la prossima volta. Quando arrivo a casa, però, sul cellulare mi arriva un messaggio di ringraziamento da parte della madre: ‘Grazie, mia figlia è entusiasta di quello che le stai facendo fare, sta riprendendo fiducia, si trova bene con te, mi ha raccontato che la fai sentire importante, è contenta di come sta migliorando, ha un grandissimo sorriso”. Ecco, poche righe che mi hanno fatto sentire pienamente appagato nel mio ruolo di allenatore ma soprattutto di educatore e che spero possano essere da stimolo per tanti genitori e ragazzi perché lo sport, in un momento come questo, può essere molto importante”.