Ospite del festival Leggermente, Fiammetta Borsellino ha incontrato gli studenti
Testimone della vita del padre, ha raccontato Paolo Borsellino magistrato e genitore
LECCO – “Non ho chiesto occuparmi di mafia, ci sono capitato per caso e ho deciso di proseguire per una questione morale, perché la gente continuava a morirmi attorno”. Le parole di Paolo Borsellino hanno risuonato al Cenacolo Francescano attraverso la voce della figlia Fiammetta, ospite martedì mattina del festival Leggermente, la rassegna di promozione della lettura promossa da Confcommercio Lecco.
Un incontro aperto dal monologo recitato da Alberto Bonacina, attore e referente di Libera Lecco, a raccontare gli ultimi giorni di vita del magistrato antimafia. Ad ascoltare, in sala, c’era un pubblico di studenti di alcuni istituti lecchesi.
“Poche volte capita nella vita di trovare in una persona, la vita di un altro, che non c’è più – ha rimarcato Lorenzo Frigerio di Libera – perché ricordare questa persona? Perché noi crediamo che la vita, ancor prima che la fine, di Paolo Borsellino ci dicano cose importanti e perché ancora dopo tanti anni la sua lezione, il suo insegnamento, deve essere stimolo per tutti noi”.
Testimone diretta della vita del padre, Fiammetta Borsellino ha raccontato di quel “lungo percorso – intrapreso dal genitore – e noi come famiglia gli siamo andati dietro, non perché l’avessimo deciso a tavolino, ma perché papà sapeva coinvolgerci tutti, portando a casa delle storie di umanità che ci raccontava. Era un padre che faceva cose enormi, pericolosissime per la sua vita, e ce le sapeva spiegare cosicché noi non gli abbiamo mai messo bastoni tra le ruote. Per lui era importante il nostro sostegno”.
“Capivamo da subito il valore delle cose che faceva, senza dovercelo dire – ha proseguito Fiammetta – e anche per noi non c’erano altre strade possibili a quelle di vivere la nostra vita, pur con sacrifici, una vita scortata ma che camminava insieme alle nostre situazioni di bambini e adolescenti; ci muovevamo coi motorini in una città pericolosa ma papà sapeva che se ci avesse rinchiuso sotto una campana di vetro ci saremmo morti dentro. Questo non vuol dire che non abbiamo pagato dei prezzi molto alti: ricordo l’estate trascorsa tutti insieme all’Asinara, che allora era un carcere, non perché mio padre si stesse preparando al maxi processo con Falcone, come erroneamente viene spesso riportato, perché lo Stato non era in grado di garantire la sicurezza a Palermo per i suoi uomini migliori”.
Un’infanzia certo non semplice, “tanti sono stati i prezzi pagati ma per fortuna – ha aggiunto Fiammetta – i nostri genitori sono riusciti a darci quelle risorse necessarie per superarli e andare avanti. Mio padre è stato un papà molto presente, il tempo che trascorreva con noi era di altissima qualità e, nonostante fosse un uomo così impegnato, trovava il modo di partecipare agli incontri con i nostri professori. C’erano dei momenti per lui sacri in famiglia, come il ritorno da scuola, ci mettevamo a tavola e ci raccontavamo in attesa del pranzo. Nulla avrebbe potuto distrarlo dal trascorrere con noi quegli attimi. La nostra casa era come un porto di mare, sempre aperta a tutti. Era il suo modo di essere, anche con i ragazzi della scorta che erano come dei figli”.
Un vita, quella di Paolo Borsellino, interrotta dal barbaro attentato in via D’Amelio: “A noi, quel 19 luglio non ci è piombato addosso, eravamo stati preparati a quell’evento, non a parole – dice Fiammetta – vivevamo una quotidianità in cui non potevi renderti conto che Parlermo, in quegli anni era in uno stato di guerra, con centinaia di morti non solo tra le forze dell’ordine ma anche tra i civili. Anche se non si è mai preparati alla morte di un padre”.