Oreste Forno a Leggermente: “In montagna per vivere, non per morire”

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Oreste Forno_2 Leggermente 2014LECCO – Serata dedicata alla montagna per il festival di Leggermente, che martedì 1 aprile ha ospitato l’alpinista e ora guardiano di dighe Oreste Forno. Scalatore con numerose spedizioni alle spalle tra gli anni ’80 e ’90, Forno è giunto a Lecco non solo per presentare il suo ultimo libro, “La farfalla sul ghiacciaio”, ma anche per spiegare la sua attuale visione dell’andare in montagna. A fare gli onori di casa, il presidente di Confcommercio, Peppino Ciresa.

“Vengo dall’alpinismo – ha spiegato Oreste Forno in un suggestivo filmato di presentazione – ma non avrei mai potuto accettare un lavoro diverso da quello che svolgo ora alla diga di Moledana in Val dei Ratti. A dieci anni sono stato colpito dall’imponenza del Disgrazia, che ho salito da solo all’età di sedici anni; da lì in avanti sono stato come richiamato a salire vette sempre più alte, fino alle spedizioni sugli Ottomila. Dopo alcune esperienze in Himalaya, c’è stato un riavvicinamento, anzi, un ritorno alle montagne degli inizi, quelle a portata di tutti. La fiamma dell’alpinismo c’è sempre dentro in me, anche se con i figli, una certa maturità e tanti amici visti morire in montagna, non sento più il desiderio di sfidare certi limiti e la mia vita”.

Oreste Forno_1 Leggermente 2014“L’unico desiderio che sento oggi – ha confidato l’autore e alpinista – è quello di trasmettere urgentemente a qualcuno certe cose che so o che ho imparato durante questi anni: per questo ho iniziato a scrivere, anche se non mi sento esattamente uno scrittore. Il lavoro alla diga mi permette di vivere in un ambiente pacifico e di avere tanto tempo libero per riflettere e scrivere”. “Dopo una serie di libri alpinistici e fotografici – ha proseguito l’alpinista – è arrivato “L’altra montagna”, un libro legato a una ricerca spirituale, al bisogno di fare chiarezza dentro di me su quel Dio a cui credevo da ragazzino: per questo sono andato a cercarlo sulle cime, l’unico posto dove avrei potuto trovarlo. Poi è stata la volta del “Guardiano di dighe”, il cui scopo era far vedere un modo di vivere diverso, lontano dal frastuono e dalle distrazioni delle città, che non permettono di fermarsi a riflettere. Infine è arrivata “La farfalla sul ghiacciaio”, che riprende il discorso avviato più di dieci anni fa con “Il paradiso può aspettare”. Si tratta di affrontare una volta per tutte il fatto che in montagna la gente continua a morire: per fare questo, ho scelto un romanzo in cui una farfalla, animale inatteso sul ghiacciaio e quindi simbolo della fragilità umana, si presenta a due alpinisti nel mezzo di un’ascensione al loro primo Ottomila”. “Con questo libro – ha spiegato l’autore – voglio educare ed informare le persone, specialmente certi alpinisti in carriera che si spingono oltre il ragionevole, che in montagna si può anche morire. Il libro, tramite l’uso della fantasia e un protagonista che riflette dalla sua baita sui troppi amici morti in montagna, vuole far capire all’alpinista che esiste anche una montagna dalla quale si può salire e tornare contenti, senza bisogno di sfidare ogni volta il limite”.

Oreste Forno e Peppino Ciresa_2“Ho sempre visto la montagna – ha concluso Oreste Forno in un breve dibattito con il pubblico – come un mezzo per soddisfare certi bisogni primari dell’uomo, per questo non condanno certo il loro bisogno di andare, ma bisogna tenere conto che c’è anche dell’altro. E’ chiaro che chi va in montagna non cerca la morte, ma bisogna pensare anche alle conseguenze per chi resta: chi sfida la montagna si sente sempre sicuro, ma a volte ci frega”. “Anche se gli alpinisti spesso rimuovono inconsciamente il rischio della morte – ha concluso Forno – quando il rischio supera la soglia del ragionevole, bisogna saper rinunciare: serve aprire la mentalità delle persone, specialmente dei più giovani, prima che succedano le disgrazie, insegnando loro ad andare in montagna per vivere e non per morire”.