Si aprirà il prossimo 8 novembre il processo a due lecchesi accusati di circonvenzione di incapace. Secondo il pm Rosa Valotta, i due avrebbero abusato dello stato di infermità mentale di una terza persona per procurare a se stessi un ingiusto profitto.
Con questa imputazione il gup Gian Marco De Vincenzi ha disposto il rinvio a giudizio di Cesare Pensa – 43 anni, imprenditore lecchese titolare di diverse aziende – e Federico Pozzi, artigiano 53enne residente a Ballabio.
L’accusa ha ricostruito il risultato delle indagini avviate a seguito di un’informativa di reato giunta tre anni fa sul tavolo del comando provinciale della Guardia di finanza.
Nel fascicolo si legge che Pensa si era fatto nominare amministratore della società di famiglia dalla vittima, L.C., 60 anni, membro di una casata imprenditoriale lecchese.
Era il modo per ottenere il controllo sull’amministrazione degli affari e del patrimonio della vittima. Non solo, l’imputato “induceva la vittima a compiere atti dannosi per il proprio patrimonio e quello della famiglia tra cui l’intestazione di quote di società possedute dalla vittima ma anche il pagamento di ingenti somme di denaro”.
Nel fascicolo dell’accusa si parla di cifre molto consistenti: un’apertura di credito in favore del Pensa per 60mila euro, assegni per altri 36mila euro e un anticipo di pagamento di fatture a società comunque collegate allo stesso imputato. C’è addirittura la costituzione di un pegno di un milione e mezzo di euro a favore di una società del Pensa con sede in Lecco.
Questa ingente somma finiva in pagamenti vari “a società riconducibili a Pensa” – il quale secondo l’accusa propose anche alla vittima “la costituzione di alcune fidejussioni del valore complessivo di 250mila euro – si legge nel verbale di rinvio a giudizio – in favore di Pozzi”. Lo stesso Pozzi poi aveva “prospettato alla vittima la cessione di un fabbricato a Ballabio” di cui lo stesso Pozzi si diceva essere proprietario. Ma per gli inquirenti era anche quello un raggiro.