In tribunale parla il figlio dell’ex presidentessa della Gilardoni Raggi X
“Isolato nel mio ufficio. Mia madre mi ha preso a schiaffi e morso ad una mano”
LECCO / MANDELLO – Poteva rifiutarsi di proferire parola in aula, invece Marco Gilardoni ha scelto di rispondere alle domande del pubblico ministero, raccontando in tribunale quanto accadeva all’interno dell’azienda di famiglia, di vicende lavorative che si incrociano ad aspetti personali, del rapporto con la madre Maria Cristina, principale imputata insieme a Roberto Redaelli, ex capo del personale, al processo sui presunti maltrattamenti nei confronti dei dipendenti della fabbrica mandellese.
Azioni di “mobbing” di cui esso stesso, ha spiegato il figlio dell’ex presidentessa, è stato vittima alla pari di altri lavoratori.
La sua non è stata una deposizione da testimone, un ruolo incompatibile con il suo attuale incarico di presidente della Gilardoni Raggi X e di rappresentante legale dell’azienda, citata da alcune parti come responsabile civile al processo; lo hanno fatto notare le difese degli imputati e il legale della stessa azienda. Il suo intervento è stato permesso dal giudice Martina Beggio come contributo di parte privata.
Così, Marco Gilardoni ha potuto raccontare la propria esperienza personale all’interno dell’azienda che dall’ottobre del 2016 vede la sua conduzione, prima con la nomina ad amministratore giudiziario da parte del Tribunale di Milano, e poi come presidente eletto dal consiglio di amministrazione.
“Ho iniziato la mia attività lavorativa in Gilardoni nel 1980 all’ufficio acquisti” ha esordito Marco Gilardoni, spiegando le diverse fasi che l’hanno portato a diventare dirigente responsabile della rete di vendita della Gilardoni Raggi X.
Un ruolo che, però, non riuscirà ad esercitare, in un crescendo di difficoltà e di “rapporti estremamente difficili” con la dirigenza, al punto che nel 2015 decide di dimettersi dal suo incarico in azienda e dal consiglio di amministrazione.
Le dimissioni nel 2015
“Perché ha preso questa decisione?” chiede il pubblico ministero Silvia Zannini.
“Ho assistito ad un lento ed inesorabile processo di esautorazione da ogni mio ruolo, con operazioni anche evidenti”
Marco Gilardoni parla di procedure scritte in cui la direzione avrebbe imposto agli altri lavoratori di non rivolgersi a lui, “non ho visto personalmente quel documento, per certo alcuni collaboratori mi hanno riferito della sua esistenza”.
“Ero isolato nel mio ufficio” racconta , nessuno poteva interloquire con lui e chi lo faceva “veniva immediatamente chiamato per essere interrogato su ciò che avevo detto. Evitavo io stesso di parlare ad altri per non metterli in difficoltà”.
Lavoratori ma anche clienti e fornitori, racconta ancora Marco Gilardoni, “finivano nella lista nera, se avevano un rapporto privilegiato con me”.
“Dal mio ufficio non potevo fare niente, non mi venivano passate le chiamate, non ero messo al corrente degli ordini dei clienti, le mie richieste venivano ignorate”.
Il figlio dell’ex presidentessa parla di un “sistema Gilardoni”, un “modus operandi definito e dettato” con cui lui stesso ha dovuto fare i conti tanto da doversi assentare dal lavoro per un esaurimento nervoso ed infine, come altri ex dipendenti, giungere al punto di dimettersi.
“Ho sempre anteposto il bene di tutti gli stakeholder della società, dai lavoratori ai clienti, dai fornitori e alla comunità di Mandello, anche a discapito dei miei rapporti familiari. Quando ho visto il depauperamento della nostra risorsa principale, le persone, ed ho capito che non potevo più incidere, al contrario, il mio intervento si rivelava dannoso per altri, per il bene della società ho deciso di lasciare. Una scelta che andava a tutelare anche mia moglie e i miei figli perché ne risentivo psicologicamente di quel periodo. Insieme abbiamo deciso che era la cosa giusta da fare”.
Trenitalia e i ritardi nelle manutenzioni
Marco Gilardoni, però, ha appuntato tutto quanto riteneva necessario, in ultimo la goccia che ha fatto traboccare il vaso:
“Nell’agosto del 2015 ricevo la chiamata di un cliente, un referente di Trenitalia che mi insulta al telefono. Chiedo perché e lui si arrabbia ancora di più. ‘Sei dirigente responsabile e non sai cosa succede?’ Mi dice”.
La questione riguardava i controlli manutentivi alla macchine utilizzate per verificare le condizioni delle ruote dei treni ad alta velocità. Il cliente è in ritardo con i pagamenti, si sarebbe sentito rispondere Marco Giladoni contattando l’azienda. “La politica era che, per chi ritardava i pagamenti, l’azienda avrebbe ritardato gli interventi” ricorda l’attuale presidente. Trenitalia, racconta Marco Gilardoni, doveva all’azienda di Mandello solo 1.740 euro.
Vittima di violenze fisiche e verbali
“Ha assistito ad aggressioni fisiche o verbali?” Gli chiede ancora il pubblico ministero.
“Fisiche nei miei confronti sì, ad altre persone no, non davanti a me – spiega Marco Gilardoni – mia madre mi ha schiaffeggiato, una volta mi ha morso una mano. Più di una volta ho invece assistito ad aggressioni verbali verso i collaboratori. Le urla erano la norma ”.
“Coglione”, “oca” o “regina delle oche” , “testa di cazzo” erano gli insulti più frequenti spiega Gilardoni, ma sarebbero state utilizzate anche offese relative alla fisicità delle persone (“ciccione”, “obeso”).
Marco Giladoni parla della figura di Roberto Redaelli come di una presenza costante accanto alla presidente, “aveva un atteggiamento accondiscendente rispetto al comportamento di mia madre. Negli ultimi tempi era diventato l’unico filtro per palare con la presidente. Io stesso non avevo altri canali”.
“La funzione del capo del personale è delicata, i predecessori di Redaelli, conoscendo il carattere forte di mia madre, mediavano e calmieravano le situazioni. L’ing. Redaelli non l’ha mai fatto, a contrario a maniera sua cercava di documentare gli errori di cui la signora accusava il dipendente di aver fatto”.