Il maglio della Panigada nei luoghi del cuore del FAI: “Patrimonio da conoscere e tutelare”

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La proposta di Officina Gerenzone per mantenere la memoria dell’ex complesso situato a Rancio

Aperta la raccolta firme

LECCO – La Valle del Gerenzone mantiene la sua operosa, geniale e antica memoria industriale nel complesso della Panigada, località del rione di Rancio. Alla fine degli anni ’80 a Lecco, si era acceso il dibattito e l’interesse sui temi dell’archeologia industriale, con convegni, censimenti e pubblicazioni di ogni genere, si è poi però assistito, da Malavedo a Pescarenico, alla demolizione integrale di ogni tipo di manufatto. “Questo probabilmente con lo scopo di ricercare un’immagine nuova della città di Lecco, che forse non si è ancora riusciti a trovare” fanno sapere da Officina Gerenzone, lanciando una proposta: inserire il Maglio della Panigada nei luoghi del Cuore del FAI.

“Il patrimonio di archeologia industriale di Lecco ha oggi forme residuali, spesso in elevato stato di abbandono: dopo gli errori dei decenni passati, non possiamo fare finta di niente, mentre si pensa di cancellare dai paesaggi della città i luoghi nei quali la città stessa ha avuto origine. Crediamoe che sia utile accendere il dibattito su quello che resta, affinché i cittadini siano informati dei fatti, nel caso specifico della storia depositata in questo luogo e del suo probabile destino”.

“Siamo speranzosi che i lecchesi prima ancora di altri decidano di approfondire e di lasciare la loro firma” continuano dall’associazione. Per firmare si può facilmente procedere dal seguente link: https://fondoambiente.it/luoghi/maglio-della-panigada-lecco?ldc

Il maglio della Panigada: quattro secoli da raccontare

L’edificio, documentato da metà Cinquecento come folla da panni di proprietà della potente famiglia Rota, pervenne nel Seicento ai mercanti Cotta e ai Mornico di Varenna (proprietari dell’attuale Villa Monastero) che la convertirono in maglio da rame. Nel 1680 il sito venne acquistato dall’imprenditore metallurgico Giovanni Battista Ceresa (1639-1697) che ne fece sede della sua attività manifatturiera di produzione di armi e palle da cannone, egli vedeva tra i principali committenti la Corona di Spagna. Di lui sopravvive un ritratto di mano del noto pittore bergamasco Carlo Ceresa, suo lontano cugino.

I discendenti proseguirono l’attività fino agli epigoni che invece seguirono carriere artistiche: Giovanni fu noto incisore pavese 1 Officina Gerenzone APS | 23900 Lecco (LC) (allievo di Faustino Anderloni e Giovita Garavaglia) mentre Luigi fu bravo ritrattista e acclamato tenore d’opera, noto in Messico e a New York. Il maglio nel corso dell’Ottocento continuò a funzionare sotto i nuovi proprietari Carera, Pasetti, Airoldi e infine Odobez.

Il complesso si è eccezionalmente conservato: sopravvive la derivazione del torrente Gerenzone, con le chiuse e la roggia ancora in parte coperta da antichi lastroni in pietra. L’interno conserva intatto il grande salone cinquecentesco del maglio (lo stesso probabilmente raffigurato nella celebre opera di Cesare Cantù “Grande Illustrazione del Regno Lombardo Veneto”) con i resti dei montanti in pietra e gli antichi carbonili. Dove un tempo si trovava la ruota rimangono, cosa unica nel territorio, i canali in pietra, sostenuti da travature in serizzo con mensole arcaiche, che animavano anche due trombe idroeoliche. Verso il fiume sopravvive la zona “nobile”, dove i Ceresa allestirono nel Settecento le loro stanze di abitazione.

Un unicum archeologico/industriale e artistico

Il luogo è un unicum nel panorama non solo archeologico industriale, ma anche artistico e paesaggistico del Lecchese. Attualmente è protetto da un vincolo comunale apposto dal Piano di Governo del Territorio vigente, risalente al 2013. “Se ne paventa la demolizione integrale per far posto a un complesso residenziale – spiegano dall’Associazione – Ci sembra utile riportare quanto scritto nel PGT vigente: “Al fine di recuperare e valorizzare i manufatti storico-testimoniali esistenti occorre predisporre apposita verifica storico-documentale atta ad individuare con precisione i corpi di fabbrica ed altri elementi/opere di archeologia industriale e regimazione idraulica per poi predisporre una progettazione accurata degli interventi di natura conservativa, con demolizione delle superfetazioni, per il riuso degli spazi costruiti e aperti, nell’ottica complessiva della rigenerazione urbana dei luoghi e della visibilità delle emergenze identitarie recuperate”.

“A valle di quanto sopra raccontato, fondato su una moltitudine di documentazione d’archivio che non mancheremo di far pervenire agli enti e alle figure competenti, ci chiediamo pubblicamente se la “verifica storico-documentale” sia stata fatta o se sia in programma. Ci permettiamo infine di osservare che nel documento pubblico che è il PGT, con valenza prescrittiva oltre che strategica, si parla di “emergenze identitarie e archeologia industriale”, mentre, dopo solo 12 anni, nella documentazione pubblica a disposizione, un complesso con oltre 400 anni di storia venga definito “fatiscente edificio residenziale”: perché?”.