“Natura morta”, “Quo Vadis?” e “Luce”. Queste le tre opere del pittore lecchese Achille Zoccola che dal 21 maggio al 25 giugno faranno parte di una mostra collettiva presso la Galleria Plexus di Friburgo, in Svizzera.
Non è la prima volta che le tele del pittore di Olate, al quale anche la Torre Viscontea ha di recente dedicato una mostra temporanea, giungono oltre il confine e, in particolare in Svizzera, dove Zoccola è stato accolto per ben quindici volte. Molto amato dai galleristi elvetici, l’artista lecchese ha nel corso della sua vita collezionato una serie di soddisfazioni, di cui, però, non sembra per nulla vantarsi.
Nato a Lecco nel 1940, dopo aver studiato a Brera Zoccola prova a svolgere, anche se per poco tempo, la professione di pubblicitario. «Si trattava – racconta – di un lavoro per nulla adatto a me. Sentivo il bisogno di potermi esprimere con maggiore libertà, senza preoccuparmi poi tanto di quello che le persone avrebbero dovuto o potuto pensare. Dopo solo quattro anni di attività, decisi di cambiare strada e di dedicarmi alla pittura, ben consapevole delle difficoltà che avrei potuto incontrare».
I suoi primi lavori, a cavallo tra gli anni cinquanta e sessanta, sono perlopiù paesaggi realizzati in uno stile definito “realismo magico”, ma la vera svolta si ha con gli anni ottanta, quando il pittore si addentra in nuovi percorsi, ben descritti dall’attore lecchese Gianfranco Scotti:
«Achille Zoccola – ha scritto di recente – ama il mistero, l’imponderabile, la soglia oltre la quale si apre l’abisso, l’inconoscibile, l’arresto del tempo, forse l’appagamento di un’inquetudine che ci accompagna e ci rode lungo il corso dei giorni».
Elementi quasi onirici; visioni talvolta inquetanti; oggetti della quotidianità, dai fiori alla frutta passando per i nostri monti e il Lario, posti in scenari originali e, proprio per questo, capaci di evocare una serie di nuovi significati e sensazioni. Questi alcuni degli aspetti caratterizzanti la seconda fase pittorica del lecchese, tanto che non manca chi ha accostato la sua arte a quella surrealista di Magritte.
«Tante volte – aggiunge il pittore – mi è stato domandato di dare una spiegazione ai miei quadri e di illustrare quale fosse il messaggio nascosto, cosa volessi dire di preciso. Io, invece, voglio lasciare agli altri la possibilità di interpretare ciò che guardano. Se chi ha di fronte un’opera non percepisce nulla, allora credo che ci sia qualcosa che non funzioni – conclude – proprio nell’opera stessa».
Per maggiori informazioni sulla mostra di Friburgo: www.galleryplexus.ch.