Magni al 9° giorno di sciopero della fame: “Lo faccio perché…”

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Sandro Magni

LECCO – Continua ad oltranza lo sciopero della fame del consigliere comunale di Lecco, Alessandro Magni, annunciato nel consiglio comunale dello scorso 10 settembre per protesta contro l’ancora vacante posto di assessore al Bilancio, rimasto vuoto dopo le dimissioni di Mario Moschetti, a fine dicembre 2011.

La lacuna in Giunta, soprattutto nelle ultime settimane, ha alimentato il dibattito interno alla maggioranza, ad anche il Gruppo consigliare del Pd ha sollecitato il sindaco Brivio ad una rapida scelta del successore di Moschetti.
Ancor prima, Sandro Magni, consigliere per Federazione della Sinistra, ha iniziato la sua eccezionale protesta giunta al nono giorno di digiuno.

In una lettera indirizzata alla nostra redazione, Magni spiega i motivi che lo hanno spinto a tale decisione, difendendo la forma di lotta intrapresa:

“Egr. Direttore

Oggi è il nono giorno di sciopero della fame.

L’attenzione che mi è stata rivolta merita alcune considerazioni. E chiarificazioni agli altri e a me.

Devo dire di avere sentito la solidarietà di molti, anche di chi non condivide i contenuti di questa modalità d’agire.
Ma questo dato umano, forse deve essere passato sullo sfondo per rispondere a chi, legittimamente, non ha dimostrato condivisione su questa azione, o sul suo contesto, oppure di chi pensa che certe “lotte” debbano essere fatte da persone “credibili” o su cose “credibili”, o di chi ancora che questa non è una forma della politica e non rientra nella tradizione che per comodità chiamerò della sinistra e del mondo del lavoro.

In particolare devo rispondere a chi ha sottolineato che questa azione è nobile ma “applicata” a una cosa banale, anzi a un interesse personale. E a chi la giudica sulla base dei grandi non violenti come Martin Lhuter King o Ghandi.

Rispondo in merito alla nobiltà. Credo che questa forma di lotta sia proprio una forma di lotta non nobile. Per definizione. Ovvero una forma di lotta che ha per fine il venire meno di qualsiasi signoria. Detto altrimenti credo che la si debba collocare filosoficamente anche dentro la nostra tradizione occidentale e in particolare in quella figura del “riconoscimento” così magistralmente descritta da Hegel nel 4 capitolo della Fenomenologia dello Spirito, come momento della presa di coscienza del rapporto di signoria e servitù, che non è solo un fatto storico esteriore, oggettuale, ma un elemento dello spirito ( o della libertà e del diventare liberi) , e che forse ci riguarda, quotidianamente, giorno per giorno, tutti.

Credo che in termini istituzionali sia una lotta che abbia per posta una scelta quotidiana tra la monarchia- o se si preferisce la signoria assoluta- e la repubblica. Scelta che non è terminata con la rivoluzione francese ma che continua ancor oggi, sapendo che i rapporti signorili e di servitù continuano ad annidarsi dentro ogni forma di potere che si ritaglia gli spazi per non lasciarsi giudicare e farsi “signore” anche dentro le forme dello Stato democratico.

Invece rispetto alla seconda obiezione rispondo che King non ha mai intrapreso questa forma di lotta. Ne ha intraprese altre di forme, accomunate a questa dall’essere non violente.

Sono il primo a dire che io non sono (e non voglio essere) né un Ghandi in salsa lecchese, né un Lhuter King laghista.
E lo dico perché penso che questa forma di lotta sia una lotta riproducibile e una lotta che da tanti può essere intrapresa, per tutte quelle circostanze che il singolo, da solo o in gruppo può intraprendere e che giudica , per la sua coscienza necessarie. Anzi, e per precisare, è una forma di lotta, non la sola, che è assolutamente in consonanza con le leggi della democrazia, e quindi in quanto tale una (non l’unica, si badi bene) forma di lotta che tiene in vita la democrazia e la allontana dai pericoli del ritorno alla servitù. Non cittadini ma sudditi.

Alla terza obiezione, quella che dice che questa non è una forma di lotta che appartiene al mondo del lavoro, e che c’è ben altro da fare, dico invece che questa forma di lotta è tutta interna a quel movimento. Perché alla sua base c’è una scelta di libertà, il primo passo della libertà: quello di esporre la propria esistenza, il proprio corpo e chiedere una risposta rispetto a una parola, a una legge, a un patto di convivenza, non mantenuti e che mette in discussione la vita della polis.

Questa “esposizione” in forme diverse, ma non antitetiche allo sciopero della fame, non è forse dentro la grande tradizione operaia di tutti gli scioperi? Di tutte le manifestazioni e i cortei per i diritti, o per la solidarietà internazionale a chi subisce ingiustizia? Non è forse dentro la dignità di chi oggi, soprattutto perché non rappresentato, fa sentire la sua domanda, arrampicandosi su un tetto di una fabbrica, su una gru, su irraggiungibili e improbabili torri o camini?

Lo sciopero della fame, come queste altre forme di lotta, sopraggiunge quando le forme della rappresentanza hanno esaurito la loro efficacia, quando ormai sono “serve”, e quando la signoria ha ripreso il suo potere.

E’ allora, che a livello molecolare, sopraggiunge lo sciopero della fame, e le altre forme di lotta. Perché quello che si vuole, nella lotta tra servo e signore è stabilire il riconoscimento ovvero la discussione e il dialogo, perché venga riconosciuta una condizione comune, un bene comune., il comune. L’istituzione, come legge della polis. La repubblica. E non per sostituire una vecchia signoria con una nuova signoria.

E il comune della nostra vita è il nostro nudo corpo, la nostra nudità, o detto altrimenti la nostra vulnerabilità e gettatezza estrema. E’ per quello che ci si “espone”.

Alessandro Magni