Una decina di imprenditori vessati dai malviventi, uno di loro portato in un capannone e minacciato con una pistola
Dall’usura al traffico di rifiuti: la nuova indagine contro l’ndrangheta e gli arresti
LECCO – C’era chi, in condizioni di difficoltà, si affidava a loro per avere delle somme in prestito, ritrovandosi ben presto strozzati dai tassi usurai e chi non poteva risarcire il denaro si ritrovava armi puntate alla testa, subiva aggressioni fisiche e sequestri di persona: è il volto dell’ndrangheta lecchese che ancora è presente sul territorio nonostante gli arresti del passato avessero decapitato il clan dei Coco Trovato.
“Stanno costruendo reti nuove rispetto al passato. Il vuoto lasciato a dagli ‘anziani’ doveva essere colmato e loro lo stavano facendo” ha sottolineato Danilo Di Laura, il dirigente della Squadra Mobile di Lecco che ha condotto le indagini coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Milano e che si sono svolte unitamente alla Guardia di Finanza di Lecco e Milano.
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Un vuoto che Cosimo Vallelonga stava cercando di colmare: è lui, già condannato per due volte in indagini contro l’ndrangheta ( “La notte dei fiori di San Vito” di metà degli anni ’90 e nell’operazione “Infinito” del 2010), la figura chiave dell’operazione scattata in mattinata con nove persone portate in carcere a Milano e altre sette agli arresti domiciliari (vedi qui articolo precedente e nomi).
Come un vero boss, dall’ufficio del “Negozio Arredomania” a La Valletta Brianza, di cui non risulta più proprietario, Vallelonga riceveva gli affiliati, gli imprenditori compiacenti e quelli in difficoltà. Una rete di soggetti su cui le indagini hanno fatto luce arrivando agli arresti odierni che hanno riguardato personaggi legati all’associazione criminale residenti tra Lecco, Calolzio, Olginate, la Brianza meratese e imprenditori dell’area bergamasca, di Brescia e Monza.
Le accuse sono di usura, estorsione, esercizio abusivo di attività finanziaria e traffico illecito di rifiuti. Per Vallelonga e Vincenzo Marchio di Calolzio (figlio di Pierino, già condannato quale affiliato della locale di ‘ndrangheta di Calolziocorte) è stato anche riconosciuto il reato di associazione di stampo mafioso, mentre tutti gli altri l’aggravante del metodo mafioso.
Risulta ancora ricercato il ‘braccio armato’ del gruppo su cui si stanno concentrando gli sforzi investigativi.
“E’ un risultato storico quello portato da questa indagine – sottolinea Di Laura – è stato applicato il 416 bis a due degli indagati perché riconosciuti appartenenti alla ‘ndrangheta locale del clan Coco Trovato, agli altri l’aggravante mafiosa. Quella che era stata messa in piedi era la struttura tipica dell’organizzazione mafiosa, nel suo modo di operare sul territorio”
Tra gli arrestati anche Benedetto Parisi e il padre Santo Parini (quest’ultimo ai domiciliari) cognato e suocero di Salvatore De Fazio, ucciso a colpi di pistola ad Olginate da Stefano Valsecchi, a seguito di contrasti tra i figli.
Una decina gli imprenditori del lecchese e dei territori vicini che hanno subito le vessazioni degli appartenenti del clan. Uno di loro è stato sequestrato, portato in un capannone deserto e minacciato con una pistola alla tempia, affinché ripagasse il suo debito.
Il business dei rifiuti
L’inchiesta era partita nel 2017 seguendo la pista del traffico illecito di rifiuti e nel 2018 aveva subito un’accelerazione per due svolte: il sequestro di un carico di materiale in rame, risultato contaminato da radiazioni, fermato dalla Polstrada a Brescia, e la denuncia di un imprenditore lecchese che, dopo essere stato sequestrato e denunciato, aveva deciso di parlare con la Polizia.
Nel frattempo, dalle Poste era arrivata la segnalazione di operazioni sospette sui conti di alcuni indagati, prelievi costanti di cifre abbastanza simili tra loro. Per questo, insieme alla Polizia, anche la Guardia di Finanza stava indagando sul gruppo.
Diecimila tonnellate e sette milioni di euro è la movimentazione di rifiuti e denaro che avrebbe fruttato il traffico illecito, quantità e soldi che venivano reinseriti nel circuito legale attraverso imprenditori compiacenti e società cartiere. Messe sotto sequestro le aziende Gc Auto e Monti Danilo Auto.
Non solo: il riciclaggio di denaro consentiva ai malviventi di ripulire le somme e ottenere anche indebite compensazioni attraverso l’emissione di false fatture. “Con documentazione falsa attestavano di non avere entrate e approfittavano dei benefici economici previsti – sottolinea il dirigente della Squadra Mobile – così truffavano lo Stato due volte”.