Parlano gli educatori che hanno avuto in carico il giovane violento
“I suoi problemi psichici erano evidenti, la sua è una situazione difficile”
LECCO – Si è reso protagonista di un atto gravissimo, il pestaggio di due donne nel sottopasso della stazione di Lecco, senza motivo alcuno, una violenza gratuita sfogata contro due sconosciute, finite entrambe all’ospedale a causa dei traumi riportati nell’aggressione.
Le crude immagini di quella scena, riprese dalle telecamere di videosorveglianza, hanno creato sgomento e acceso nuovamente un aspro dibattito sul tema dell’immigrazione.
Ma lui, Manaf Abuel Cocobissi, 24enne originario del Togo, non è uno dei migranti arrivato negli ultimi anni dell’emergenza sbarchi, è giunto in Italia e poi a Lecco fin da piccolo con la famiglia stabilendosi nel capoluogo manzoniano insieme alla madre e alla sorella.
Un ragazzo problematico
Da adolescente, manifestando già sintomi di disagio psicologico e sociale, viene affidato prima ad una comunità per giovani in Valsassina, poi all’età di 17 anni il tribunale lo assegna alla Casa Don Guanella di Lecco:
“Aveva già commesso dei reati e mostrava segni evidenti del suo disturbo comportamentale, aggressività e sbalzi d’umore notevoli – ricorda Bruno Corti, coordinatore della comunità – mai però si erano verificati episodi così’ gravi come quello accaduto qualche giorno fa, anche perché Manaf, inserito in un contesto di comunità, aveva una vita regolare ed era seguito dagli educatori”.
Conclusi due anni di affidamento a Casa Don Guanella, il giovane ha scelto uscire dalla struttura e tornare a vivere in famiglia, ma in realtà era sempre fuori casa. “La madre e la sorella sono persone molto umili, che vivono in modo dignitoso la loro condizione di povertà”. Il padre avrebbe lasciato il nucleo famigliare.
“Manaf aveva una profonda scottatura sul corpo – ricorda Corti – i suoi pochi racconti facevano pensare a possibili maltrattamenti e seri traumi infantili”.
Il suo disagio psichico era evidente
“Alternava attimi di silenzio ad altri in cui parlava con sé stesso – prosegue l’educatore – ci sono stati momenti di tensione per la sua aggressività, ma non sfociati in episodi violenti. Uscito dalla comunità, però, Manaf si è ritrovato senza riferimenti sociali, senza occupazione, allo sbando a girovagare per la città”.
Finché, dopo aver commesso un nuovo reato, un furto sfociato in rissa, per lui si sono aperte di nuovo le porte del carcere. “Lo sono andato a trovare più volte a Pescarenico, poi lo hanno trasferito a Como perché il carcere di Lecco non possedeva un presidio sanitario adatto ad aiutarlo, mentre Como dispone di assistenza psichiatrica per questo tipo di detenuti”.
Il ragazzo, in seguito all’arresto per i fatti in stazione, giovedì è stato portato di nuovo alla casa circondariale di Lecco in attesa di essere trasferito al carcere di Monza, in un reparto di detenuti psichiatrici.
In molti si chiederanno perché una persona così problematica e pericolosa (ancora di più per la sua stazza) era libera di vagare. “Non sono certo io a dover rispondere – conclude l’educatore – ma quando non c’è emergenza, spesso lo Stato lascia le persone alla deriva”.
Don Agostino: “Un ragazzo con alle spalle situazioni complesse”
“Certamente, il suo stato di alterazione era noto a tutti – ricorda don Agostino Frasson, guida della comunità Don Guanella – è un ragazzo con alle spalle situazioni complesse, che nel limite delle sue capacità ha sempre mantenuto un rapporto con noi, spesso veniva a cercarci anche dopo il periodo di accoglienza”.
“Negli ultimi tempi, veniva a prendere il sacchetto che la sera destiniamo ai poveri della città”.