RUBRICA – Ciao a tutti, nonostante un maggio particolarmente caldo alcuni miei assaggi hanno riguardato diversi vini rossi interessanti, spesso poco conosciuti ed apprezzati, come ad esempio quel Cirò riserva degustato con gli amici del CAI di Calco che mi da lo spunto per parlarvi di questa zona situata poco più a nord di Crotone dove, soprattutto recentemente, si producono ottimi vini davvero impensabili fino a una decina di anni fa.
Alle nostre latitudini non capita spesso assaggiare vini provenienti dalla Calabria, regione piuttosto impervia in cui si succedono Pollino, Sila ed Aspromonte e dove le produzioni sono in genere piuttosto limitate. Ebbene sì, l’unica zona dove si raggiungono quantitativi rilevanti è proprio la zona del Cirò, nelle tipologie bianco, rosato, rosso, rosso superiore ed anche rosso riserva, disciplinati da una DOC stortica che risale al 1969.
I vitigni prevalentemente utilizzati sono il Greco per i vini bianchi , molto diffuso in tutto il Sud Italia, ed il Gaglioppo per i vini rossi, vitigno molto interessante e coltivato solo in Calabria, col quale si produceva anche il vino utilizzato per tagliare i grandi nebbioli piemontesi
definito addirittura il “Barolo del Sud”.
A queste uve si sono aggiunti anche altri vitigni autoctoni riscoperti e valorizzati in questi ultimi anni come il Mantonico bianco, con cui si fanno anche degli ottimi passiti, ed il Magliocco rosso. Un po’ meno frequente, rispetto ad altre regioni del Sud come Sicilia e Puglia l’utilizzo di uve internazionali come Chardonnay e Viogner per i bianchi oppure Cabernet e Syrah per i rossi.
Il Cirò bianco, greco 90%, solitamente è un vino bianco di buona struttura non profumatissimo ma sapido, equilibrato e mai stucchevole, ottimo vino quotidiano non troppo costoso e di ottima qualità. Ho assaggiato per lo più i bianchi delle due aziende più rappresentative del territorio, Librandi e Ippolito, e devo dire che con 6/7 euro si beve davvero bene.
Una segnalazione a parte per l’”Efeso” un bianco da uve Mantonico in purezza che recentemente Librandi è riuscito a migliorare alleggerendo l’impatto della barrique.
Note positive anche dai Cirò rosati: il Gaglioppo è sicuramente una delle uve più adatte alla vinificazione in rosa. Di per sé non rilascia colorazioni particolarmente intense (non a caso veniva associato ai nebbioli) e raccolto con leggero anticipo garantisce freschezza, fragranza ed anche una discreta tenuta, che è un po’ il tallone d’achille dei rosati. Oltre al solito Librandi, davvero da manuale, notevole anche quello di Tenute Iuzzolini.
Molto più ampia ed articolata la gamma del Cirò rosso per il quale, come avevo accennato poc’anzi, sono previste anche le versioni “Superiore”, “Classico” e “Riserva”. Già il Cirò rosso classico si rivela di ottima personalità, inimitabile sia nella nota varietale dell’uva Gaglioppo sia nel sorprendente equilibrio fra struttura, potenza ed eleganza. Alle riserve, per le quali sono previsti un paio d’anni di affinamento in botte , si aggiungono complessità e longevità. M’ha proprio entusiasmato la riserva “Duca San Felice” 2012 di Librandi assaggiato l’altra sera a Calco (10 euro spesi più che bene) ma ricordo alcune riserve di aziende più piccole come ‘A Vita e Du Cropio
tutt’altro che deludenti. Fuori dal disciplinare è da assaggiare un vero e proprio gioiellino di Calabria, si chiama “Gravello”, è uno dei pochi esempi di “uvaggio” fra Gaglioppo 70% – Cabernet Sauvignon 30% : che buono! Per ciò che concerne gli accostamenti Il Cirò bianco lo vedrei bene su diversi piatti della cucina mediterranea a base di pesce e/o verdure purché semplici ed equilibrati.
Il rosato è un vino molto versatile, può essere accostato a spaghetti “allo scoglio” o fusilli con le melanzane, parmigiana o zucchine ripiene,
insalate di pasta o di riso, tagliere di salumi o vitello tonnato.
I vari Cirò rossi o riserva reggono qualsiasi piatto a base di carne o anche una selezione di formaggi da scegliere in funzione della loro età e della loro struttura. Per coloro che avranno la fortuna di andare in vacanza in Calabria, visto che nella cucina locale è quasi immancabile il peperoncino, mi sia consentito un consiglio spassionato: se volete valorizzare i vini meglio lasciarlo perdere.
Assaggiare per credere
Roberto Beccaria
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