La testimonianza di Marianna, educatrice alla casa dei ragazzi e sorella di Jacopo, affetto da disabilità
Un racconto intimo, in cui Marianna ha ripercorso il suo vissuto: “La mia più grande ricchezza e la mia più grande fragilità”
OLGIATE – Una testimonianza speciale in occasione del 31 maggio, giornata dei fratelli e delle sorelle. E’ quanto ha voluto condividere Marianna Tuberga, educatrice presso il centro educativo diurno per minori La Casa di Sophia di Casa dei Ragazzi, raccontando la sua esperienza personale di sorella di Jacopo, persona con disabilità.
Partendo dal suo vissuto professionale, Marianna ha desiderato condividere la sua testimonianza affinchè i familiari degli ospiti e degli utenti dei nostri servizi si sentano ancora più accolti.
Ecco la testimonianza
Oggi, 31 maggio si festeggia la giornata dei fratelli. Una festa che fino a quest’anno non sapevo ci fosse o comunque non ci ho mai fatto troppo caso perché oggigiorno c’è una ricorrenza per ogni cosa. Quest’anno però ha catturato la mia attenzione ed ho pensato potesse essere l’occasione per pensare e darci valore. Quest’anno ho scoperto di essere una Sibling, termine a me prima sconosciuto, che in inglese vuol dire appunto fratello/sorella, ma nell’accezione italiana sta ad intendere proprio il fratello/sorella di una persona con disabilità. Sono e lo sono sempre stata una Sibling eppure per una vita è stata una cosa di cui faticavo a parlare, che ho custodito come un segreto: la mia più grande ricchezza e la mia più grande fragilità.
Perché? Perché quando nasci e cresci in una famiglia speciale, la tua normalità non è la normalità dei compagni di scuola, degli amici e dei tuoi stessi parenti e la paura di non essere capito e accettato a volte blocca, a volte invece fa scattare atteggiamenti di protesta che spesso isolano. Ho sempre vissuto con difficoltà la domanda: “hai fratelli o sorelle?” Perché, per quanto semplice sia dare una risposta, per me ha sempre significato mostrare una parte di me a cui sarebbero seguite domande a cui faticavo dare risposte. È difficile spiegare agli amici che tuo fratello non vive insieme e te o che, anziché andare a scuola come tutti gli altri, va in una “scuola speciale”, piuttosto che dire che a scuola ha bisogno di un educatore e/o insegnante di sostegno perché ha dei bisogni diversi per i quali necessita di un aiuto in più. Ci si trova impreparati, fin da piccoli, a spiegare agli altri e a te stesso come e perché tuo fratello/sorella è diverso.
Perché quando sei a casa, quella persona è la tua normalità: non importa la fisionomia, i comportamenti considerati dagli altri “bizzarri”, l’assenza di parole, perché anche se non ci sono vengono sostituite da sguardi, sorrisi, abbracci, carezze che ti permettono di conoscere un modo diverso di comunicare, altrettanto forte, di impatto, pieno di contenuti e perché no anche di litigi come in qualsiasi rapporto fraterno. Jacopo ed io abbiamo da sempre giocato e parlato tanto, nel nostro linguaggio speciale, vivendo tanti momenti tra abbracci rubati, balli, risate e piccole gite. Siamo diventati grandi insieme, spesso distanti fisicamente ma con un filo che ci ha sempre unito e che ci ha permesso di godere appieno il nostro tempo.
Grazie alla sua vicinanza e presenza ho scoperto cosa avrei fatto da grande, ho scelto di essere educatrice all’età di otto anni dicendo ai miei genitori: “da grande voglio aiutare i bambini e i ragazzi come mio fratello”. Così è stato:tanto studio, passione e desiderio di restituire la ricchezza che sento di aver ricevuto dalla vita. Nel mio caso, l’esperienza accanto alla disabilità mi ha permesso di sviluppare un settimo senso, uno sguardo attento nel ricercare la bellezza delle piccole cose, di apprezzarle con sensibilità. Ho sempre sentito dentro di voler aiutare chi come me ha vissuto una solitudine, un dolore, un sentirsi incompreso e diverso credendo che, benché non si possano cambiare le cose, la vicinanza possa essere una salvezza. Per questo nel mio lavoro ho ritenuto sempre molto importante esserci e costruire nella relazione con l’Altro uno spazio in cui stare bene e sentirsi accettati per ciò che si è, autentici e speciali.
Sono cresciuta apprezzando al massimo i fine settimana perché in quei giorni la nostra famiglia si riunisce: la bellezza delle mie settimane intense, prima di studio e ora di lavoro la respiro nello stare insieme. Nonostante i differenti equilibri familiari, i tempi e i bisogni di Jacopo, ricarico le energie e mi ricordo quanto è bella la vita! Nella mia normalità Jacopo va a “scuola”, un centro residenziale, e torna a casa nel week end, oltre che nei periodi di festa: ma arriva il 28 febbraio 2020, il mondo si ferma, tutto si chiude e con essa la possibilità di riportare a casa mio fratello. Da quel momento la mia normalità, come quella di tutti non è più stata la stessa, e ho iniziato a provare un senso di solitudine fortissimo. Ho avuto molto tempo per pensare a me e Jacopo, a quanto ci cercassimo e quanto non fosse possibile trovarci come avremmo voluto. Eppure, proprio grazie a questo periodo assurdo, ho avuto l’occasione di sentirmi davvero sorella, interrogandomi tantissimo e capendo quanto straordinario sia questo rapporto, senza barriere. La distanza forzata ci sta facendo scoprire quante risorse abbiamo e quanto bene ci unisce nonostante la distanza spazio-temporale: il tempo insieme è un concentrato di parole, canzoni, baci volanti e perché no, anche qualche bisticcio di disaccordo con battito di piedi annesso.
Quello che è certo, oggi, è che grazie alle mie nuove consapevolezze ho trovato la forza di parlare di Jacopo, del mio essere sua sorella e di affrontare anche il mio lavoro, in modo diverso. Sono riuscita a dare un valore aggiunto al mio essere educatrice proprio qui, confrontandomi con bambini, ragazzi de La Casa di Sophia, ma anche con i giovani uomini e donne dell’RSD, della Fattoria e del CSE. Da ognuno di loro, chi per un sorriso, per una chiacchierata o per un progetto, ho ricevuto la possibilità di migliorarmi. Grazie agli incontri che ho fatto ho imparato ad accettarmi un po’ di più, nei miei pregi e nei miei limiti, nell’essere me stessa al 100%. Oggi, sono una sorella orgogliosa, figlia di due genitori di cui vado molto fiera per tutto quello che mi hanno insegnato: a guardare la diversità come ricchezza, ad assaporare le piccole cose, a sorridere anche quando è più difficile farlo ma soprattutto a lottare con coraggio contro le ingiustizie.
Essere sorella di un bambino è diverso che esserlo di un ragazzo e di un uomo: le cose da fare insieme, le responsabilità, i progetti, le paure, gli insegnamenti… sono diversi. Non è facile crescere, ed accettare il tempo che passa, soprattutto quando il futuro è un’incognita. All’interno di una famiglia in cui c’è una disabilità bisogna imparare in fretta l’arte della flessibilità, a cavalcare l’imprevisto, perché i bisogni sono tanti, complessi e gli aiuti vanno pensati, chiesti per tempo e non sempre arrivano. Però non si è soli. Questa è la lezione più grande che ho imparato quest’anno: non siamo isole distanti, ma facciamo tutti parte di un mondo di persone diverse, ognuno con la sua storia, ma se ci si avvicina si possono scoprire similitudini, possibilità di condividere e crescere insieme. Occorre dare la possibilità a chi incontriamo di conoscerci per ciò che siamo, lasciandolo libero di capirci e di esserci.
Ho sempre pensato che la mia vita valesse per due, un po’ per me, un po’ per Jacopo, perché quando la vita dona legami così speciali non importa che fisionomie si abbiano, se ci sono più o meno cromosomi, se si hanno o meno comportamenti “bizzarri”, se si parla, se si è in sedia a rotelle… quello che conta è avere un fratello/sorella con cui crescere e con cui vivere la vita appieno, con coraggio.
“A Jacopo, che ha imparato a camminare perché sua sorella gli faceva i dispetti e a Marianna che ha imparato a vivere guardando suo fratello”.