LECCO – Visita al Memoriale della Shoah – Binario 21, sotto la stazione Centrale di Milano, lunedì 11 maggio per gli studenti del biennio scientifico e artistico del Collegio Volta di Lecco.
Appena dentro, l’incontro con Ester, la guida, e l’introduzione sul concetto di indifferenza, a partire dalla scritta a caratteri cubitali che accoglie i visitatori.
La parola “indifferenza” è stata fortemente voluta da Liliana Segre, una reduce dell’olocausto. Perché, però, proprio “indifferenza” e non “sterminio”, “violenza”, o “olocausto”?
La Segre ha vissuto sulla propria pelle l’indifferenza dei milanesi mentre lei e altri ebrei venivano deportati, il 30 gennaio 1944. Nessuno si oppose e al loro passaggio molti abbassarono le tapparelle.
Ester ha evidenziato che solitamente, per semplificare, si dice che vi erano le vittime e i carnefici. “È vero – ha detto la guida – ma la maggior parte delle persone erano gli “altri”, la zona grigia, che avrebbe potuto (o dovuto) prendere posizione e non l’ha fatto. Anche oggi voi ragazzi dovete prendere posizione di fronte alle ingiustizie e non essere indifferenti. E non dovete pensare soltanto alle grandi tragedie della storia. Anche nella vostra vita quotidiana siete chiamati a fare la vostra parte, ad esempio se vi capita di assistere, a scuola, a episodi di bullismo”.
Milano ha avuto coraggio nell’affrontare una pagina così buia del suo passato. Gli ebrei italiani erano 58.000 e costituivano la comunità ebraica più antica d’Europa. Inoltre erano orgogliosi di essere italiani.
Il Memoriale della Shoah si trova come detto sotto la stazione Centrale, nella zona merci. La zona è nascosta, riservata, discreta. Era perfetta per i nazisti, che infatti la requisirono.
“La deportazione degli ebrei – è stato spiegato – non fu un evento improvviso. Al 1938 risalgono le leggi razziali, volute da Mussolini e dal fascismo, firmate dal re e approvate dal Parlamento. Gli ebrei diventarono così cittadini di serie B, un corpo estraneo alla società. Ed è breve il passo dalle leggi alla deportazione. Tutti gli alunni ebrei furono espulsi dalla scuole, i padri persero il posto di lavoro, il mondo militare, quello giornalistico e quello accademico allontanarono gli ebrei”.
I sassolini in un’area del memoriale richiamano la scena finale di Schindler’s list. Un’usanza millenaria: un sasso indicava la sepoltura nel deserto. E anche oggi nei cimiteri ebraici non vi sono fiori, ma sassi.
“Nella Shoah – è stato ricordato nel corso della visita degli studenti lecchesi – furono sterminati 6 milioni di ebrei. Ma un numero resta un numero, per grande che sia. E il rischio è di fermarsi al dato numerico. Soltanto leggendo le storie si capisce che dietro i numeri vi erano persone che, come tutti, avevano sogni, progetti, speranze”.
Poi un altro monito di Ester ai giovani che la ascoltavano: “Attenti! Usate sempre senso critico e cuore, perché non tutto quello che vi viene detto è vero”.
“I vagoni venivano riempiti – ha aggiunto la guida – poi messi su un elevatore. La deportazione avveniva al mattino presto. Anche sotto la stazione c’erano 24 binari. Erano due mondi paralleli, ma la deportazione aveva la precedenza su tutti gli altri convogli, compresi quelli che trasportavano materiale bellico”.
L’8 settembre del ’43 fu reso noto l’armistizio, firmato cinque giorni prima. Il re fuggì a Brindisi e l’Italia del Centronord cadde nelle mani dei nazisti. Tutti gli ebrei erano già schedati da un censimento e ognuno di loro aveva una taglia di 5.000 lire, somma all’epoca sufficiente per acquistare una casa.
Molti cercarono di fuggire verso la Svizzera, altri cambiarono identità, peraltro con il rischio di essere smascherati. Gli ebrei del Nord furono mandati a San Vittore e lì ammassati e torturati. Chi usciva, in condizioni pietose, veniva portato alla stazione.
Il giorno della partenza del convoglio più numeroso, il 30 gennaio 1944, i detenuti del carcere si affacciarono e buttarono cibo, qualcuno pregava. Insomma, molti di loro non si mostrarono indifferenti.
Nei vagoni venivano stipate intere famiglie e per raggiungere Auschwitz ci volevano 7 giorni.
Molti immaginavano che non ci potesse essere nulla peggio di San Vittore. “In fondo la Germania è la culla della civiltà”, pensavano.
Nel vagone niente cibo né acqua, soltanto un secchio. La Segre ricorda che nel vagone c’erano dapprima panico, poi disperazione, infine silenzio.
“Il treno del 30 gennaio passò per Fossoli, campo italiano di smistamento – ha spiegato la guida agli studenti del Collegio Volta – e dopo una sosta il viaggio proseguì. Su 774 deportati partiti il 6 dicembre del ‘43 e appunto quel giorno di fine gennaio del ’44 tornarono soltanto in 27. All’arrivo le famiglie venivano divise: le donne e i bambini da una parte, gli uomini da un’altra. Poi un’ulteriore selezione, tra abili e inabili al lavoro. Questi ultimi erano immediatamente destinati alle camere a gas. Chi poteva lavorare, veniva sfruttato finché sopravviveva”.
Oggi, nella Milano del 2015, il Memoriale vuole essere un antidoto contro razzismo, discriminazione e xenofobia. “E’ per i giovani – è stato ribadito nel corso della visita – perché sia luogo non soltanto di memoria ma anche di formazione”.
Prima di congedarsi dagli studenti lecchesi Ester ha parlato anche di chi non è rimasto indifferente. “Chi salva una vita – ha spiegato la guida – salva il mondo intero, dicono gli ebrei. Così molti italiani “fecero la differenza” e aiutarono gli ebrei. Oggi è nostro dovere ricordarli, perché loro sono l’esempio che è sempre possibile fare una scelta diversa e agire secondo coscienza”.
“Io spero e credo – ha concluso – che anche voi diventerete adulti in grado di fare la differenza”.