Protesta fuori dal sito Sicor Teva di Bulciago dopo l’annuncio della chiusura
Si uniscono alla presidio anche lavoratori della Henkel di Lomazzo. I lavoratori “impotenti davanti alle multinazionali”
BULCIAGO – “Centonove posti di lavoro cancellati”: è la scritta che da lunedì pomeriggio capeggia sullo striscione appeso lungo l’ex Briantea Como-Bergamo, a due passi dalla sede di Bulciago della Sicor, azienda del gruppo Teva che la scorsa settimana ha annunciato la chiusura dello stabilimento entro tre mesi.
Lunedì i lavoratori dell’azienda, che conta 109 dipendenti, hanno manifestato insieme ai loro riferenti sindacali che di lì a breve sarebbero stati ricevuti dalla direzione di Teva Italia per un incontro sulle sorti del sito brianzolo, che vanta mezzo secolo di storia nella produzione farmaceutica e che nel 2002 era stato acquistato dalla multinazionale israeliana.
“Cercheremo di capire quali sono gli spazi per far recedere l’azienda – spiega Nicola Cesana della Filctem Cgil – Non possiamo ammettere che una multinazionale di queste dimensioni possa pensare di chiudere un sito produttivo efficiente e funzionante solo per strategie economiche globali del gruppo”.
Teva avrebbe infatti lamentato margini ridotti dalla produzione del sito di Bulciago, specializzato in farmaci generici. Alcuni lavoratori potrebbero essere ricollocati negli altri stabilimenti lombardi del gruppo, ma per la maggior parte di loro si prospetterebbe il licenziamento.
“Ci sono 109 dipendenti che non conoscono il loro futuro e a cui viene preclusa la possibilità di proseguire nel loro impiego – aggiunge Cesana – senza contare i problemi ambientali che sorgerebbero, come impianto chimico lo stabilimento è soggetto a legge Seveso e dovrà essere presidiato”.
IL VIDEO – La protesta e le voci dei lavoratori
I sindacati puntano alla continuità aziendale “che quindi Teva faccia un passo indietro rispetto a questa decisione o perlomeno metta in vendita il sito produttivo – spiega Celeste Sacchi della Uiltec – in questo modo potremo sperare che qualcuno lo acquisti e l’attività possa proseguire, ci darebbe inoltre la possibilità di richiedere la cassa integrazione straordinaria di un anno per i lavoratori, che altrimenti tra tre mesi potrebbero non aver più nulla”.
Solidarietà tra lavoratori
La protesta ha avvicinato i lavoratori di Bulciago ai dipendenti dell’Henkel di Lomazzo, altra multinazionale che ha annunciato chiusura, e reciprocamente i lavoratori delle due aziende hanno partecipato ai presidi che si sono tenuti in mattinata nel comasco e nel pomeriggio a Bulciago. Presenti anche i lavoratori della Voss di Osnago.
“Abbiamo preso una legnata, nessuno si aspettava una cosa del genere – racconta Luigi Frigerio, che da 26 anni lavora alla Sicor – che i ritmi di produzione fossero diminuiti negli ultimi anni lo avevamo notato ma nulla faceva pensare ad una chiusura”.
“La cosa che fa più arrabbiare – aggiunge un altro lavoratore, Luca Fumagalli – è il senso di impotenza di fronte a queste situazioni, a queste multinazionali che non sono regolamentate in nessuna maniera, l’operaio semplice non ha tutele rispetto alle loro decisioni”.
Una doccia fredda per il lavoratori, “è stata come una coltellata – ci dice Stefano Rizzi, dipendente Sicor – c’è gente che lavora qui da 30 anni, sono tanti i dipendenti troppo giovani per andare in pensione e troppo vecchi per ricollocarsi sul mondo del lavoro”.
Serve il peso della politica
Il sindaco di Bulciago Luca Cattaneo, presente al presidio, ha espresso “vicinanza a tutti i lavoratori. Posso solo immaginare cosa voglia dire perdere il proprio posto di lavoro dalla sera alla mattina. Siamo un piccolo Comune ma la politica qui ha un peso e la faremo valere ai tavolo di confronto istituzionale. Abbiamo chiesto di essere sentiti in Regione perché questo caso arrivi a distanza”.
Anche il segretario generale della Uilm del Lario, Salvatore Monteduro, ha chiesto l’impegno della politica, “non ci si può rassegnare alla chiusura. Non è possibile che aziende come questa sfruttino risorse e capitali sul territorio per vent’anni e poi decidano di andarsene lasciando i lavoratori in un momento così difficile per tutti. Lavoratori che – ha ricordato Monteduro – non hanno mai smesso di lavorare neanche durante il lockdown, producendo farmaci che erano necessari alla popolazione”